La Malattia di Pompe, altrimenti chiamata Glicogenosi di tipo II, è una patologia rara che interessa nel mondo circa 10 mila pazienti di tutte le fasce d’età. Si tratta di una patologia che colpisce il tessuto neuromuscolare ad esordio cronico e debilitante che può talvolta essere incompatibile con la vita e portare alla morte dell’individuo che ne è affetto.
La Malattia di Pompe appartiene al gruppo delle malattie rare e più precisamente a quella famiglia di patologie note come malattie rare da accumulo lisosomiale.
In cosa consiste questa malattia? In sostanza, questa malattia si caratterizza per la mancata scissione del glicogeno, la riserva di energia dei muscoli che consente la loro contrazione, a causa di un enzima alterato che non consente la sua demolizione nelle singole unità costituenti di glucosio. In questo modo, tutti gli organi che sono ricchi di glicogeno e che hanno bisogno di glucosio come carburante (cuore, muscoli delle cosce, muscoli della gabbia toracica) restano senza energia e non riescono ad espletare la loro funzione contraendosi.
Nei bambini che sono affetti dalla Malattia di Pompe si assiste alla presenza di ipotonia muscolare ed ingrossamento delle dimensioni del cuore. In questi casi la morte sopraggiunge durante il primo anno di vita a causa dell’insufficienza cardiaca dovuta all’inabilità del cuore di contrarsi.
Giornata internazionale della Malattia di Pompe
Questa patologia è molto sentita nella comunità scientifica per la sua estrema gravità e per il suo esordio in età neonatale tanto che il 15 aprile del 2015 è stata istituita la giornata internazionale della Malattia di Pompe. In questa occasione, l’associazione Italiana Glicogenosi e la Genzyme Italia hanno diffuso questo video che potete vedere con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica dell’importanza dello screening neonatale e della diagnosi precoce di questa malattia.
Quali sono le cause della Malattia di Pompe?
La Malattia di Pompe è una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva, caratterizzata da una mutazione genetica localizzata sul braccio corto del cromosoma 17. Ciò vuol dire che se entrambi i genitori sono portatori sani della malattia, cioè hanno un gene “malato” e uno “sano” vi è una percentuale pari al 25% che il bambino nato da questa coppia soffra di questa malattia. Questa mutazione provoca un deficit dell’enzima alfa-glucosidasi acida che è proprio l’enzima responsabile della scissione del glicogeno nelle singole unità di glucosio utilizzabili dalle cellule. Tutto questo provoca un accumulo eccessivo di glicogeno nelle cellule dell’organismo e l’impossibilità di utilizzo da parte dei muscoli provoca un lento ed inesorabile indebolimento.
La Malattia di Pompe si presenta in diverse forme ed ha tre diversi esordi con cui spesso essa viene classificata:
- Forma classica. La forma classica, conosciuta anche con l’acronimo IO (Infantile Onset) è quella più grave che si manifesta subito dopo la nascita. Ha prevalentemente una connotazione di tipo cardiaco e si caratterizza per la presenza di cardiomegalia, insufficienza cardiaca e cardiomiopatia ipertrofica, tutte condizioni che non consentono al cuore di funzionare efficientemente. I bambini che ne sono affetti vengono definiti “floppy baby” e se non diagnosticata prontamente questa malattia provoca la morte del piccolo entro il primo anno di vita;
- Forma ad esordio tardivo. Questa forma si manifesta dopo il primo anno d’età ed è caratterizzata da una lenta e progressiva degenerazione del tessuto muscolare che procede in maniera più lenta rispetto alla forma classica. Gli organi del corpo maggiormente colpiti sono i muscoli scheletrici e, generalmente, il cuore non viene intaccato da questo disturbo. L’indebolimento dei muscoli, però, coinvolge anche quelli deputati alla respirazione e quindi la persona affetta perde lentamente sia la capacità di muoversi e camminare ma anche quella di respirare perché i muscoli della gabbia toracica non riescono a sostenere il meccanismo di inspirazione ed espirazione dell’aria. Questa lenta e progressiva degenerazione comporta molto spesso il ricorso alla tracheostomia o alla respirazione assistita.
Tra queste due forme, che sono quelle più comuni e diffuse nella popolazione affetta dalla Malattia di Pompe, si colloca anche la forma non classica cioè una particolare condizione in un cui si ha una prognosi variabile e i sintomi non appartengono né all’una né all’altra forma appena descritta.
Malattia di Pompe: la diagnosi
Diagnosticare questa malattia non è semplice perché molti dei sintomi che la caratterizzano possono essere facilmente confusi con altre patologie. La diagnosi è molto più semplice nei bambini perché essa si manifesta con un esordio molto grave e perché poi i bambini appena nati vengono sottoposti a screening neonatale delle malattie genetiche più diffuse. Purtroppo, però, il problema delle malattie rare che compaiono dopo il primo anno di vita hanno lo svantaggio di essere diagnosticate e curate in maniera errata: solo un test di ricerca delle mutazioni genetiche è in grado di stabilire la presenza o meno di malformazioni di questo tipo. La diagnosi di questa malattia avviene con un semplice test biochimico teso a quantificare l’attività enzimatica della alfa-glicosidasi acida (GAA). Se un bambino è affetto dalla forma classica della Malattia di Pompe allora l’attività di questo enzima è praticamente assente, mentre per la forma tardiva si riscontra una riduzione.
Il test prevede tre diverse modalità: analisi dei linfociti, analisi dei fibroblasti prelevati dalla cute oppure una biopsia muscolare. Recentemente, è stata introdotto un nuovo esame molto meno invasivo: il Dried Blood Spot. Questa analisi consente di effettuare la diagnosi avendo a disposizione una semplice goccia di sangue che viene fatta essiccare su un particolare filtro di carta assorbente. Quest’ultimo esame apre uno spiraglio importante nello screening neonatale e nella possibilità di diagnosticare precocemente la malattia considerando anche la gravità della Malattia di Pompe nella sua forma classica. Infatti, l’esito del Dried Blood Spot può essere confermato anche dall’elettromiografia, un esame che consente di valutare la funzionalità del sistema nervoso periferico.
Tuttavia, la diagnosi di questa malattia può essere effettuata anche in gravidanza, se esistono i presupposti per il bambino di esserne affetto, prelevando una piccola porzione di villi coriali entro la dodicesima settimana di gravidanza. Con questo test, che prevede il prelievo di cellule della placenta si valuta la presenza o meno dell’enzima alfa-glicosidasi acida. Successivamente, sarà l’amniocentesi che verrà effettuata intorno alla quindicesima settimana a valutare la presenza o meno dell’attività enzimatica oltre che andare ad identificare la mutazione genetica direttamente sul DNA.
Terapia della Malattia di Pompe
L’unica terapia che oggi abbiamo a disposizione per trattare la Malattia di Pompe in entrambe le forme è la terapia enzimatica sostitutiva che consiste nella somministrazione di una forma ricombinante dell’alfa-glucosidasi acida umana in modo da sopperire alla mancanza di questo enzima. Il trattamento di questa patologia con questo metodo che è attualmente l’unico disponibile ha dimostrato di migliorare in maniera anche significativa la progressione della malattia sia per i pazienti affetti dalla forma classica che quelli ad esordio tardivo. Ovviamente, l’efficacia del trattamento e la migliore risposta da parte del paziente si ottengono quando la diagnosi è precoce e si può sopperire immediatamente alla mancanza dell’enzima. Inoltre, il trattamento delle forme infantili della Malattia di Pompe ha permesso non solo il recupero della funzionalità muscolare ma anche una significativa riduzione degli episodi di morte entro il primo anno di vita.
Attualmente, la ricerca scientifica sta focalizzando la sua attenzione sulla sintesi di molecole in grado di migliorare l’attività e la funzionalità dell’enzima. Accanto alla terapia farmacologica risultano importanti anche quella alimentare e riabilitativa. Infatti, è stato dimostrato che regimi alimentari che prevedono una significativa riduzione dell’apporto glicemico porta giovamento alla terapia mentre la terapia riabilitativa consente di recuperare la funzionalità muscolare che altrimenti andrebbe persa.
Condividi su: