Durante il periodo di gravidanza le donne sono estremamente controllate e sottoposte a ecografie, curve glicemiche, analisi varie del sangue, ma c’è un esame che solitamente nella routine non viene prescritto (a meno che il ginecologo non abbia ragioni specifiche) e che può essere utile per intercettare tempestivamente una patologia chiamata colestasi gravidica, rischiosa per la futura mamma e il suo bambino: l’analisi dei valori degli acidi biliari nel sangue.
Alti valori di acidi biliari nel sangue sono infatti segno dell’insorgenza della colestasi intraepatica della gravidanza (ICP), nota anche come colestasi gravidica. Vediamo di seguito di cosa si tratta, sintomi, rischi per gestante e feto, valori di riferimento e terapie utilizzate.
In questo articolo parliamo di:
Cosa sono gli acidi biliari?
Gli acidi biliari, presenti nella bile escreta dal fegato negli esseri umani, sono responsabili dell’assorbimento dei grassi. Hanno anche un ruolo nel modo in cui il corpo usa il colesterolo. Quando il colesterolo viene elaborato dal fegato, si formano appunto gli acidi biliari. La cistifellea immagazzina gli acidi fino a quando il corpo non ha bisogno di usarli.
Cos’è la colestasi gravidica?
La colestasi in generale è una patologia che causa la riduzione del flusso biliare con conseguente ritenzione nel sangue di una o più sostanze normalmente secrete dalla bile come: sali biliari, colesterolo, fosfolipidi, bilirubina, enzimi biliari (fosfatasi alcalina, gammaGT, 5-nucleotidasi, Leucina ammino Peptidasi o LAP).
Nello specifico la colestasi intraepatica della gravidanza (ICP) o colestasi gravidica è una forma di colestasi reversibile che si manifesta nelle donne in gravidanza con un’incidenza bassa (circa 1% delle gravidanze, 2% nei paesi scandinavi), ma che è da tenere sotto osservazione in quanto associata a rischi fetali significativi. Questa condizione si verifica generalmente nel terzo trimestre di gravidanza, ma può insorgere anche più precocemente.
Sintomi della colestasi gravidica
Il principale sintomo campanello di allarme di un possibile rialzo degli acidi biliari riferito dalle gestanti è il prurito, in particolare la sera/notte e con intensità maggiore su palmi delle mani e piante dei piedi, ma si può estendere talvolta alle gambe e al resto del corpo con o senza alterazione della pelle. Se un certo grado di prurito, in particolare sulla pancia a causa dello stiramento della pelle, può essere fisiologico in gravidanza, è comunque sempre da segnalare al ginecologo se si manifesta su mani e piedi.
Nelle fasi iniziali della gravidanza, un leggero rialzo potrebbe passare inosservato in quanto potrebbe essere asintomatico. Con il procedere della gravidanza (generalmente nel terzo trimestre) i valori potrebbero aumentare e la futura mamma potrebbe sentire un incessante bisogno di grattarsi al punto di crearsi delle abrasioni nel tentativo di alleviare il sintomo.
Il sintomo del prurito difficilmente può essere attenuato se non con una cura farmacologica per cui è opportuno contattare il proprio ginecologo al manifestarsi del prurito. Sintomi più rari possono essere lieve ittero e steatorrea.
Esami e range di valori degli acidi biliari
I valori possono variare da laboratorio a laboratorio, comunque riportiamo dei valori indicativi
- Valori normali negli adulti: da 0,3 a 4,8 μmol
- Primo trimestre di gravidanza: da 0 a 4,9 μmol
- Secondo trimestre di gravidanza: da 0 a 9,1 μmol
- Terzo trimestre di gravidanza: da 0 a 11,3 μmol
I valori possono essere elevati anche se la paziente incinta soffre di una malattia del fegato (strutturale).
Cause della colestasi gravidica
Sebbene le cause siano ancora sconosciute, sembra che principalmente giochino un ruolo fondamentale:
- fattori genetici e ambientali, come modificazioni ormonali fisiologiche durante il periodo di gestazione,
- età della gestante superiore a 35 anni
- storia pregressa di epatite C e calcoli biliari,
- gravidanze gemellari,
- gestazioni da fecondazione assistita
Nelle donne con colestasi gravidica il disturbo può recidivare nelle gravidanze successive con una frequenza tra il 60-90%, con severità variabile, così come è stata riscontrata familiarità per cui è bene segnalare in fase di anamnesi al ginecologo se madre o sorelle ne abbiano sofferto durante le loro gravidanze.
Rischi per la madre
Nelle forme più gravi, la colestasi gravidica può indurre un malassorbimento dei grassi con comparsa di steatorrea e con deficienza di vitamina K che può causare una ipoprotrombinemia.
La condizione di colestasi gravidica è temporanea e i miglioramenti solitamente cominciano dal parto anche se vi è raramente un rischio aumentato di sviluppare una calcolosi biliare post gravidanza.
Rischi per il feto
In caso di colestasi trascurata, il feto può andare incontro a:
- sofferenza fetale di vario grado fino a morte endouterina,
- parto prematuro con distress respiratorio del neonato, causato dalla riduzione di produzione di surfattante polmonare dovuta all’accumulo di acidi biliari
- distress fetale
- asfissia neonatale dovuta all’inalazione di meconio nel liquido amniotico
- morte neonatale.
Gli acidi biliari potrebbero indurre un rilascio di prostaglandine, responsabile dell’aumento di rischio di parti pretermine.
Terapia Farmacologica della colestasi gravidica
Livelli sierici elevati di acidi biliari totali sono la chiave per la diagnosi di colestasi gravidica, che dovrebbe essere stabilita il prima possibile. Giocano un ruolo fondamentale uno stretto controllo ostetrico e un trattamento tempestivo con acido ursodesossicolico, farmaco principe per il trattamento della colestasi gravidica, utilizzabile anche ad alte dosi senza alcun rischio per il bambino.
Le linee guida indicano di anticipare il parto alla 37esima settimana al fine di ridurre i rischi di morte intrauterina.
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