Il THC, o delta (9)-tetraidrocannabinolo, è la sostanza psicoattiva più importante contenuta nei cannabinoidi, e quindi nella marijuana, nonché la diretta responsabile degli effetti euforizzanti una volta fumata o assunta per via orale.
Tali effetti compaiono già dopo pochi secondi in caso di inalazione e dopo un lasso di tempo che va tra i 30 minuti e le 2 ore nel caso di ingestione.
Ma qual è il tempo di permanenza del THC nel sangue? La permanenza del THC è molto variabile, infatti si attesta in un intervallo molto ampio, ossia tra le 4 e le 12 ore dal consumo, ma in caso di grandi consumatori di marijuana le tracce possono persistere anche per alcuni giorni, o persino per settimane.
Questa ampia variabilità dipende da più fattori, tra cui:
- la modalità di assunzione, quindi se la cannabis è stata fumata, ingerita o se ne sono respirati i vapori;
- la quantità consumata;
- la frequenza del consumo.
Pertanto non è possibile dare una risposta certa alla domanda “quanto dura?”, o meglio, una risposta che valga come regola generale, infatti come visto la presenza del THC nelle analisi del sangue dipende da molteplici fattori che andrebbero valutati caso per caso.
In questo articolo parliamo di:
Differenze tra le modalità di consumo
Al fine di comprendere meglio le motivazioni dietro al perché le modalità di consumo della cannabis determinano diversi tempi di permanenza nell’organismo, dobbiamo andare ad approfondire il discorso sulla metabolizzazione del THC.
Quando la cannabis viene fumata, il THC passa attraverso le vie aeree giungendo ai polmoni. Da qui, tramite gli scambi gas-sangue che avvengono a livello dei capillari polmonari, entra quindi nel circolo sanguigno. In questo modo il THC raggiunge rapidamente il picco di concentrazione nel sangue e raggiunge quindi il cervello in un tempo molto breve, in genere dai 3 ai 5 minuti, manifestando gli effetti caratteristici della cannabis.
La cannabis può essere anche utilizzata come farina di canapa per la preparazione di alimenti quali torte, dolci, muffin, pizze, focacce, ed ancora salse, sughi ed infusi da bere caldi e freddi. In questo caso non sussistono problematiche relative alla presenza del THC nel sangue perché i semi da cui si ricava la farina sono privi di THC.
Questo fa sì che non vi siano problemi a consumare la farina in cucina.
Perché si effettuano test per valutare la presenza di THC nell’organismo?
Gli effetti della cannabis, e dunque della sua sostanza più psicoattiva, ossia il THC, sono molteplici e variegati, ed includono:
- euforia;
- alterata percezione del tempo;
- difficoltà di concentrazione;
- stato di rilassamento psico-fisico;
- rallentamento dei riflessi;
- stato confusionale;
- sonnolenza;
- cambiamenti dell’umore;
- alterazioni delle performance mnemoniche;
- aumento dell’appetito.
Talvolta gli effetti possono anche dare esito a:
- paranoia;
- attacchi di panico;
- diminuzione della salivazione;
- vasodilatazione;
- difficoltà di respirazione;
- variazioni della pressione sanguigna;
- per i grandi consumatori e per i consumatori abituali, danni polmonari causati dal fumo ed alterazioni dell’elettroencefalogramma (EEG).
Dati i numerosi effetti che compromettono la lucidità di pensiero, la capacità di concentrazione, il rallentamento dei riflessi, la sonnolenza e scarsa concentrazione, l’uso di cannabis non può essere in alcun modo conciliata con attività che richiedono la massima attenzione e piene prestazioni psico-fisiche, perché potrebbero crearsi le condizioni per mettere a rischio la propria e l’altrui incolumità.
Tra le molte, queste attività includono la guida, l’utilizzo di strumentazioni o macchinari pericolosi, lavori che richiedono prontezza di riflessi, impieghi che prevedono il contatto con la clientela o il pubblico, lavori di precisione, tutti i contesti in cui si riveste un pubblico impiego e questo comprende categorie quali forze dell’ordine, operatori sanitari, medici, insegnanti, addetti alla sicurezza e chiunque detenga un’arma.
Per questi motivi si comprende l’utilità di effettuare test specifici per scovare tracce di THC, mediante analisi del sangue, delle urine, dall’analisi del capello, delle unghie e della saliva, ossia al fine di individuare i consumatori di cannabis e quindi individuare l’adeguatezza o meno a svolgere determinate attività o a ricoprire specifici incarichi sia di rappresentanza che di responsabilità.
Per questo motivo, per alcune categorie di persone sottoporsi al dosaggio del THC nelle analisi del sangue rappresenta una condizione necessaria per lo svolgimento di una specifica attività.
Analisi del THC nel sangue: quanto ne rimane?
La valutazione delle tracce di droghe mediante l’analisi del capello è in grado di determinare un consumo avvenuto sul lungo periodo, ossia anche di mesi nel passato, ma si tratta di un’analisi piuttosto costosa. Pertanto, per valutare il consumo sul lungo periodo è preferibile l’analisi delle urine, dalle quali si riesce a determinare se un soggetto ha consumato cannabis, e quindi THC, fino ai 3 mesi precedenti, variabili dalla frequenza e dalla quantità consumata.
In quali circostanze è, dunque, utile dosare il THC nel sangue? Il test ematico per determinare la presenza di THC si basa su un consumo recente della sostanza, quindi risulta positivo se la persona sottoposta al test ha consumato di recente cannabis (o altre sostanze stupefacenti).
Pertanto si tratta di un test che risulta molto utile alle forze dell’ordine per determinare, ad esempio, se una persona alla guida è sotto effetto di cannabis, a seguito di semplici controlli o di incidenti avvenuti, usando lo stesso criterio logico dei test per l’alcolemia (anche se le modalità di rilevazione sono differenti). Mentre i test per l’alcolemia forniscono un valore preciso dell’alcool etilico presente nel sangue del soggetto, definendo una concentrazione limite (0,5 grammi/litro) al di sopra della quale non è consentito mettersi alla guida, il test ematico per il THC fornisce soltanto un responso positivo o negativo alla sostanza. Ciò sottende che non esiste un valore limite entro il quale la presenza di THC nel sangue è consentita per legge.
Ma per quanto tempo resta traccia di THC nel sangue? A questa domanda si è già data una risposta preliminare, ossia: dipende da soggetto a soggetto. Entrano in gioco quindi le quantità di cannabis assunte e la frequenza con cui se ne è fatta uso. Se per un consumatore occasionale di marijuana il THC nel sangue è rilevabile fino a 24-30 ore dopo l’ultimo consumo, per i consumatori abituali le tracce vengono rilevate dai 5 fino ai 12-13 giorni successivi all’ultimo utilizzo.
Come si eliminano le tracce di THC dal sangue?
Quando si inizia un nuovo lavoro può capitare di doversi sottoporre a dei test medici che accertino la compatibilità del soggetto a svolgere una determinata mansione, lo stesso vale per l’attività sportiva o per un controllo specifico di medicina del lavoro.
Qui sorge immediatamente il problema di eliminare le tracce di THC nel sangue e a tal proposito si trovano su internet le più svariate e fantasiose metodiche e consigli per fare in modo che i test non rilevino la sostanza, o l’assunzione di chissà quali sostanze, allo scopo di superare indenni il test. È da chiarire che si tratta per lo più di miti da sfatare e per giunta potenzialmente pericolosi.
Se si vuole eliminare la presenza di THC nel sangue, che come detto ha una presenza più breve rispetto al suo livello nelle urine, ed ancor più breve rispetto al capello, la strada da seguire è quella della disintossicazione.
Ciò intende l’astensione totale dal consumo di cannabis per un periodo di almeno 2 settimane prima delle analisi, in modo da non incrementarne il valore, a cui deve accompagnarsi una dieta ricca di frutta, verdura e molta acqua, al fine di agevolare l’eliminazione della sostanza dal corpo. Ad una dieta sana e ad una corretta idratazione del corpo è preferibile abbinare anche dell’attività sportiva.
Il consumo di cannabis, così come del tabacco, comporta serie ripercussioni sulla salute, sia a livello delle vie respiratorie e dei polmoni, che a livello del sistema nervoso centrale. Pertanto, oltre alle necessità lavorative, legali o sportive che possono indurre a disintossicarsi, la principale motivazione deve essere legata al proprio stato di salute ed al mantenimento del proprio benessere psico-fisico.
Si raccomanda di parlare dell’abitudine al consumo di cannabis con il proprio medico di famiglia e di farsi aiutare nel percorso di disintossicazione. La sospensione improvvisa, specie per i grandi consumatori, può dare esito a manifestazioni quali ansia, nausea, panico e malessere: tutte condizioni che necessitano di un supporto medico competente e specializzato.
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