Long COVID: sintomi persistenti e impatti su adulti, bambini e adolescenti

La pandemia da COVID-19, iniziata negli ultimi mesi del 2019, ha avuto un impatto notevole nella vita di ognuno di noi, oltre che sulla salute dell’intera popolazione mondiale.

Nonostante gli importanti progressi scientifici abbiano portato a una gestione migliore dell’infezione da Sars-Cov-2, una delle questioni più ostiche rimane quella relativa al long COVID, una condizione che può persistere per settimane, mesi o addirittura anni dopo la guarigione dall’infezione acuta.

Il long COVID, noto anche come sindrome post-COVID, è caratterizzato da una varietà di sintomi debilitanti che colpiscono non solo gli adulti, ma anche i bambini e gli adolescenti.

Che cos’è il long COVID?

Il long Covid è una particolare condizione clinica che si può manifestare in quei soggetti che, dopo aver contratto il COVID-19 continuano a provare sintomi riconducibili alla patologia, anche per un periodo prolungato di tempo.

Questi sintomi si protraggono spesso per un periodo che può superare superando le quattro settimane dalla risoluzione dell’infezione acuta; possono variare di intensità e tipo da individuo a individuo, e non sempre vengono riconosciuti immediatamente come conseguenze dell’infezione da SARS-CoV-2.

Nei primi periodi il Covid si manifesta con una sintomatologia ben nota come febbre, tosse, perdita del gusto e dell’olfatto.
Con il passare del tempo e la comparsa delle varie varianti del virus, il pannello dei sintomi ha iniziato a diventare sempre più vario.

I sintomi si sono via via ridotti, caratterizzandosi per manifestazioni più lievi, simili a un comune raffreddore. Tuttavia, alcuni pazienti, sia adulti che giovani, hanno continuato a riportare problemi persistenti anche dopo la guarigione clinica.

Questi sintomi, che caratterizzano il long COVID, possono colpire vari sistemi del corpo, tra cui il sistema respiratorio, cardiovascolare, neurologico, gastrointestinale e persino l’aspetto psicologico.

Tra i sintomi più comuni negli adulti troviamo la fatica costante, difficoltà respiratorie, dolori muscolari e articolari, mal di testa, problemi di memoria e concentrazione (spesso definiti “nebbia mentale”), oltre a disturbi del sonno e cambiamenti nell’umore come ansia o depressione.

Nonostante molti pazienti migliorino con il tempo, alcuni studi suggeriscono che in una parte della popolazione questi sintomi possano persistere per anni, compromettendo la qualità della vita.

Il long COVID nei bambini e negli adolescenti

Il long covid è stato studiato inizialmente in maniera più approfondita negli adulti. Le ultime analisi hanno evidenziato che anche i bambini e gli adolescenti possono esserne colpiti.

Un recente studio condotto presso l’Ambulatorio Post-COVID Pediatrico del Policlinico Gemelli, su circa 1.300 pazienti di età compresa tra 0 e 18 anni, ha rivelato che il long COVID può persistere fino a tre anni nei pazienti pediatrici, influenzando profondamente la loro vita quotidiana.

I sintomi più comuni riportati dai giovani pazienti includono stanchezza cronica, difficoltà nel mantenere la concentrazione, dolori muscolari e articolari, nonché disturbi respiratori come tosse persistente e difficoltà a respirare.

Alcuni autori hanno spiegato che, nonostante la maggior parte dei bambini guarisca completamente dall’infezione iniziale, una parte significativa continua a manifestare sintomi debilitanti. Questo impatto è particolarmente evidente nella loro capacità di frequentare la scuola e partecipare alle attività extra-scolastiche, compromettendo il loro sviluppo educativo e sociale.

Una delle scoperte più rilevanti di questo studio è che il long COVID nei bambini può durare per un periodo prolungato, fino a 36 mesi, suggerendo che questa condizione potrebbe avere effetti a lungo termine sulla salute fisica e psicologica dei pazienti pediatrici. I bambini colpiti dal long COVID non solo devono affrontare le conseguenze dirette della sindrome, ma sono anche più predisposti a sviluppare altre infezioni sintomatiche rispetto ai coetanei che non ne soffrono.

Chi è più a rischio di sviluppare il long COVID?

La questione è capire su chi sia più a rischio di sviluppare il long COVID: questo è ancora oggetto di un dibattito intenso oltre che fonte di ispirazione per numerosi progetti di ricerca.

Nei pazienti adulti, alcuni fattori di rischio sembrano assumere un ruolo particolarmente rilevante, tra cui l’età avanzata, il sesso femminile e l’aver avuto una forma grave di COVID-19, che ha richiesto ospedalizzazione. Condizioni preesistenti come l’obesità, il diabete di tipo 2 e altre comorbidità sembrano anch’esse influenzare il rischio.

Per quanto concerne i bambini, il tipo di correlazione tra la gravità dell’infezione all’esordio e il rischio di sviluppare una sintomatologia da long COVID non è ancora stata chiarito.

Nelle fasi iniziali della pandemia sembrava potesse esserci una probabilità più elevata di sviluppare la sindrome in seguito a infezioni particolarmente gravi; tuttavia, con l’avvento della variante Omicron questa associazione sembra essere meno evidente.

In effetti, anche bambini che hanno avuto infezioni lievi o asintomatiche possono sviluppare il long COVID, un dato che rende la gestione di questa sindrome ancora più complessa.

Nonostante ciò, la ricerca ha evidenziato che la vaccinazione rappresenta un importante fattore protettivo contro lo sviluppo del long COVID, sia nei bambini che negli adulti.

Alcuni autori sottolineano che i pazienti pediatrici vaccinati, specialmente quelli che hanno ricevuto tre dosi, mostrano una riduzione del rischio di sviluppare sintomi persistenti. L’efficacia della vaccinazione nel prevenire il long COVID varia a seconda dell’età del paziente e del numero di dosi ricevute, ma rimane comunque un valido strumento di protezione.

La reinfezione e il long COVID

Un’altra importante scoperta dello studio condotto dal Policlinico Gemelli riguarda il rischio di reinfezione e la possibilità di sviluppare il long COVID dopo una nuova esposizione al virus.

Secondo i dati raccolti, il rischio di contrarre una forma grave di COVID-19 a seguito di una reinfezione nei 24-36 mesi successivi è estremamente basso. Tuttavia, anche se raro, il long COVID può insorgere a seguito di una reinfezione, sebbene i casi siano meno frequenti rispetto alla prima esposizione.

Questa evidenza sottolinea ulteriormente la complessità della gestione clinica del long COVID e la necessità di monitorare attentamente sia i pazienti che hanno già contratto il virus che coloro che hanno subito una reinfezione.

La sfida continua

Il long COVID rappresenta una sfida clinica non solo per la medicina, ma anche per la società in generale. Le sue conseguenze, sia negli adulti che nei bambini, sono ancora oggetto di studio, e la comprensione di questa sindrome continua a evolversi. Nonostante i progressi nella ricerca, rimangono molte domande senza risposta su come prevenire e trattare efficacemente il long COVID.

La vaccinazione è uno degli strumenti più efficaci a nostra disposizione, non solo per prevenire forme gravi di COVID-19, ma anche per ridurre il rischio di sviluppare il long COVID. Tuttavia, è fondamentale che i pazienti, siano essi adulti o bambini, che presentano sintomi persistenti dopo l’infezione da COVID-19, consultino i medici per una valutazione accurata e per ricevere il supporto necessario.

Con il progredire della ricerca, la speranza è che si possano sviluppare strategie sempre più efficaci per la gestione del long COVID, permettendo a coloro che ne sono affetti di tornare a una vita piena e attiva.

Fonti

https://www.thelancet.com/journals/eclinm/article/PIIS2589-5370(24)00394-8/fulltext

Long COVID: che cos’è e quali sono i sintomi

 

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