Spesso presi dallo stress quotidiano, con le sue mille cose da fare, risulta difficile ricordare anche semplicemente cosa abbiamo mangiato per cena il giorno prima o cosa abbiamo indossato. Esistono però nel mondo pochissime persone che sembrano ricordare praticamente tutto della loro vita, da com’erano vestiti in un determinato giorno di molti anni prima a quale giorno della settimana fosse in una specifica ricorrenza.
Questa incredibile capacità, chiamata ipertimesia (o sindrome ipertimesica o Memoria Autobiografica Superiore) è la rarissima condizione che ad oggi riguarda nel mondo circa 60 individui (9 dei quali accertati in Italia) e sulla quale la scienza continua ad interrogarsi.
Se per un qualsiasi individuo con una memoria tipica gli eventi che restano impressi nella memoria sono quelli ai quali è legata una forte emozione (il giorno del matrimonio o la nascita di un figlio, cosa stessero facendo quando appresero del crollo delle Torri Gemelle o dove fossero quando la propria squadra vinse i Mondiali di calcio, ad esempio), per le persone dotate di questa super memoria ogni singolo giorno rappresenta quella che per noi è l’eccezione e riescono quindi a ricordare particolari anche apparentemente insignificanti legati a una giornata come un’altra, senza che questa abbia concretamente apportato un significativo cambiamento nella propria vita.
In questo articolo parliamo di:
Come funziona il cervello di chi ha l’ipertimesia
Quello che di primo acchito potrebbe apparire un dono eccezionale, può invece rappresentare per chi lo possiede una vera e propria condanna. I pochissimi soggetti al mondo che presentano ipertimesia riescono infatti a riportare alla memoria, senza alcuno sforzo, un qualsiasi evento di molti anni prima vivendolo in maniera estremamente lucida, come se stesse nuovamente accadendo dinanzi ai loro occhi.
Allo stesso tempo, però, molte delle persone con ipertimesia ammettono di ritrovarsi spesso vittima di ricordi incontrollati che, di fatto, li costringono a vivere gran parte della loro vita nel passato, impattando così pesantemente sulle funzioni cognitive. Per soggetti dotati di una memoria normale, inoltre, spesso col tempo è più semplice cercare di accantonare in un angolo buio della propria mente ricordi dolorosi ai quali pensare il meno possibile per non rivivere determinate spiacevoli emozioni. Per una persona con sindrome ipertimesica questo tentativo è praticamente impossibile: la persona dotata di super memoria non può compiere una selezione dei ricordi da far riaffiorare alla mente generando così spesso frustrazione e tristezza.
Chi ha l’ipertimesia è un cervellone?
Chi sente parlare per la prima volta di ipertimesia associa quasi sempre questa sindrome a una incredibile e fortunata capacità da sfruttare in ambiti cruciali nella vita giovanile e adulta come l’istruzione e il lavoro. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, però, chi soffre di ipertimesia presenta funzioni cognitive nella media.
Perché avviene questo a una persona che ha l’incredibile capacità di ricordare ogni singolo aspetto della sua vita passata? Semplicemente perché l’ipertimesia non ha nulla a che vedere con la capacità di memorizzazione volontaria ma attiene a una specifica condizione del cervello umano nella quale il soggetto che ne soffre è capace, suo malgrado, di ricordare solo eventi personali e autobiografici. In inglese, infatti, la sindrome è nota come Highly Superior Autobiographical Memory. Il processo che riporta costantemente alla memoria pezzi di vita passata non riguarda, quindi, eventuali strategie di memorizzazione, ma attiene unicamente a un automatismo involontario.
Allo stesso modo, uno studio condotto su 14 persone affette da ipertimesia ha mostrato come queste non mostrino un pensiero creativo potenziato, atteso come derivante da un’eventuale ricombinazione di concetti memorizzati, e gli scienziati hanno concluso che anche questo può dipendere dal fatto che “sono focalizzati in modo compulsivo e ristretto sul consolidamento e sul recupero di eventi autobiografici”.
Quali sono le cause dell’ipertimesia
Gli studiosi sono ancora alla ricerca di risposte esaustive in grado di spiegare il fenomeno dell’ipertimesia e in letturatura scientifica sono presenti ad oggi solo 41 studi sull’argomento. La diagnosi di questa sindrome è stata spesso condotta mediante esami strumentali come la risonanza magnetica funzionale per valutare eventuali differenze celebrali rispetto a soggetti dotati di una memoria normale.
Proprio da questo tipo di esame si è giunti alla conclusione che nelle persone affette da ipertimesia il nucleo caudato e il lobo temporale risultano più grandi del normale. Il nucleo caudato, che si occupa della memoria procedurale, è inoltre a sua volta collegato al disturbo ossessivo compulsivo. Il lobo temporale, invece, essendo coinvolto nella cosiddetta memoria episodica, ha la funzione di immagazzinare i ricordi e questo spiegherebbe perché un soggetto con ipertimesia è in grado di conservarne di più.
Un’interessante ipotesi riguarda la possibilità di un deficit del circuito frontostriatale che potrebbe rappresentare la causa della disfunzione osservata negli ipertimesici per quanto riguarda le funzioni esecutive legate al lobo temporale. Lo stesso circuito frontostriatale è coinvolto in altri disordini neurologici noti come l’autismo, il disturbo ossessivo compulsivo, il deficit di attenzione e l’iperattività, questi ultimi due spesso diagnosticati in età scolare. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui molti dei soggetti affetti da ipertimesia finora esaminati presentino anche uno di questi disordini neurologici concomitanti.
Una delle più grandi questioni sulle quali l’opinione scientifica è ancora abbastanza divisa riguarda il metodo con il quale il nostro cervello immagazzina informazioni da poter eventualmente riportare alla mente anche dopo molti anni.
Se per alcuni l’idea è che il cervello dimentichi completamente informazioni ritenute poco utili per evitare di sovraccaricarsi, per altri, come il neurologo canadese del secolo scorso Wilder Penfiel, tutto ciò che viviamo resta “nascosto” in qualche area del nostro cervello come se questo registrasse in maniera continuativa la nostra esistenza. Ciò che è impossibile ai più, in questa seconda ipotesi, è accedere a tali informazioni. Secondo uno studio di Markowitsch e Staniloi, è la zona del cervello chiamata amigdala a caricare segnali in modo che eventi mnemonici di un significato emotivo specifico possano essere ricercati con successo all’interno delle reti neurali appropriate e riattivati.
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