Malattia di Alzheimer: caratteristiche, sintomi e prospettive future

La malattia di Alzheimer è una patologia di carattere neurodegenerativo con decorso cronico e progressivo. Rappresenta attualmente la causa più comune di demenza nella popolazione anziana nei paesi sviluppati.
Si stima che almeno il 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni e il 20% degli ultra-85enni ne sia colpita.

Nonostante si presenti maggiormente in età avanzata, in diversi casi può manifestarsi anche con esordio precoce intorno ai 50 anni di vita.

Un recente studio ha identificato un gene associato a una riduzione del rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer fino al 70%. Vediamo nel dettaglio l’argomento.

Quali sono le caratteristiche dell’Alzheimer? Quanti ne sono affetti?

Generalmente la demenza di Alzheimer inizia con un decorso graduale: i soggetti iniziano a dimenticare piccoli dettagli e particolari della propria vita, fino a non riconoscere nemmeno i propri familiari, con la necessità di introdurre un’assistenza al paziente persino per compiere le attività quotidiane più semplici.

Attualmente la demenza di Alzheimer colpisce circa il 5% delle persone oltre i 60 anni, con un numero di casi in Italia che ammonta a 500.000. Negli anziani è la forma di demenza più diffusa che è caratterizzata principalmente da un deterioramento delle funzioni cerebrali che porta alla manifestazione di gravi difficoltà nella gestione della vita quotidiana.

Questa patologia compromette sia la memoria che le funzioni cognitive, arrivando a influenzare in maniera significativa la capacità di linguaggio e pensiero, oltre a causare confusione, cambiamenti d’umore ed episodi di disorientamento spaziale e temporale.

Chi è stato il primo a descrivere questa patologia?

La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, il neurologo tedesco che descrisse per primo i sintomi e che caratterizzò per primo gli aspetti neuropatologici di questa sindrome nel 1907.

Alois Alzheimer caratterizzò la sindrome nell’ambito di un esame post-mortem di una donna con una strana malattia mentale: in questo esame il neurologo scoprì la presenza di placche amiloidi e grovigli neurofibrillari nel tessuto cerebrale.

Oggi queste placche e grovigli sono considerati da un punto di vista anatomo-patologico degli indicatori della malattia anche se le cause biologiche di fondo rimangono, a distanza di più di un secolo, in gran parte sconosciute, nonostante gli sforzi enormi della ricerca.

Nei pazienti che sono affetti di Alzheimer, può essere osservato un fenomeno di perdita di cellule nervose in aree cerebrali cruciali per la memoria e per l’espletamento di funzioni cognitive. Accanto a questo si osservano livelli ridotti di neurotrasmettitori come l’acetilcolina, che sono fondamentali per la comunicazione tra le cellule nervose.

Progressione e sintomi dell’Alzheimer: quali sono?

La demenza di Alzheimer ha un decorso molto lento e pazienti che ne sono colpiti possono sopravvivere in media per un periodo che oscilla tra gli 8 e 10 anni successivi alla diagnosi.
In un primo momento, i sintomi si presentano in maniera lieve, tra i quali i più caratteristici sono i problemi di memoria.

La rapidità di progressione della malattia di Alzheimer è molto variabile da soggetto a soggetto, con un quadro di sintomi che possono includere gravi perdite di memoria, domande ripetitive, episodi di smarrimento in luoghi familiari e difficoltà nell’orientarsi nel tempo e nello spazio fino a una conclamata trascuratezza della sfera personale, soprattutto nell’ambito dell’igiene, nella nutrizione e nella sicurezza personale.

La formulazione della diagnosi avviene grazie allo studio e all’analisi dei risultati di test clinici, neuropsicologici e di imaging.

Quali sono i trattamenti farmacologici disponibili contro l’Alzheimer?

Ad oggi non esistono farmaci che sono in grado di offrire una terapia definitiva per la cura della malattia; tuttavia, esistono strategie terapeutiche che possono aiutare il paziente a gestire e controllare i sintomi.

Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi, ossia l’enzima che degrada un neurotrasmettitore importante che è l’acetilcolina, possono rallentare l’aggravamento dei sintomi in pazienti con forme lievi o moderate della malattia.

Esempi di farmaci inibitori dell’acetilcolinesterasi sono tacrina, donepezil, rivastigmina e galantamina.
Altri farmaci possono essere usati per il trattamento di condizioni parallele alla patologia come insonnia, ansia o depressione.

La ricerca, attualmente, continua per riuscire a sviluppare nuove molecole che siano in grado di prevenire, rallentare o ridurre i sintomi della patologia, inclusa la possibilità di produrre vaccini in grado di contrastare lo sviluppo delle proteine correlate con la patogenesi della malattia.

Terapie non farmacologiche utili contro l’Alzheimer

Tra le terapie non farmacologiche la più rilevante è la terapia di orientamento alla realtà che è una delle più usate ed efficaci per aiutare i pazienti a mantenere il contatto con la propria vita quotidiana, personale e con le persone che circondano il soggetto, tramite la rieducazione alla ricezione di stimoli verbali, visivi e scritti.

Quali sono le prospettive future sull’Alzheimer?

Un recente studio ha identificato un gene associato alla riduzione del rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer fino al 70%.
Il gene descritto codifica per la produzione di fibronectina ed è stato preso in studio su una coorte di 11000 persone.

La fibronectina è una componente della matrice extracellulare: la presenza di una variante protettiva potrebbe suggerire un legame tra le sue capacità di agevolare il drenaggio di alcune tossine dal cervello e la riduzione del rischio di sviluppare la demenza.

Questo supporta l’idea che i vasi sanguigni del cervello possano svolgere un ruolo significativo nello sviluppo della malattia: questo può rappresentare la fonte di nuovi spunti nella ricerca di una terapia.

Secondo i ricercatori che hanno partecipato a questo studio, i risultati di questo progetto potrebbero essere il primo passo per lo sviluppo di terapie mirate che imitano l’effetto protettivo del gene e offrire nuovi spunti per l’attività di prevenzione della malattia.

Studi condotti su modelli animali, nella fattispecie topi e pesci zebra, sembrano aver confermato l’ipotesi che la fibronectina potrebbe influenzare l’accumulo di sostanze correlate allo sviluppo dell’Alzheimer.

Fonti

https://italianmedicalnews.it/alzheimer-scoperto-gene-che-riduce-il-rischio-fino-al-70/

https://www.humanitas.it/malattie/alzheimer/

https://www.epicentro.iss.it/alzheimer/

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