Il neuroimaging è uno strumento fondamentale nel campo delle neuroscienze, che si avvale dell’uso di varie tecniche per la mappatura diretta o indiretta della struttura, della funzione o della farmacologia del sistema nervoso.
La tecnologia del neuroimaging permette ai ricercatori di ottenere dati molto dettagliati del cervello, fornendo informazioni molto preziose sia sulla sua struttura che attività neurobiologica.
La sua applicazione può fornire dati utili alla comprensione dei meccanismi di base che regolano la patogenesi di molte malattie neurologiche e psichiatriche, oltre a migliorare la nostra conoscenza delle funzioni cerebrali.
In questo articolo parliamo di:
- Quante tipologia di Neuroimaging esistono? Quali differenze ci sono?
- Quali sono le principali tecniche di neuroimaging?
- In quali campi di ricerca può essere usato il neuroimaging?
- Quali sono le principali sfide nell’uso di questo strumento?
- Il Neuroimaging come strumento fondamentale per la comprensione dei meccanismi alla base della depressione e dell’ansia: lo studio
- Com’è stato impostato lo studio?
- Implicazioni cliniche e prospettive future
- Fonti
Quante tipologia di Neuroimaging esistono? Quali differenze ci sono?
Il neuroimaging si suddivide in due principali categorie: strutturale e funzionale.
Sulla base del tipo di applicazione che se ne fa, il neuroimaging può essere diviso in due categorie principali, che sono il neuroimaging funzionale e quello strutturale.
- Neuroimaging strutturale: questa categoria si concentra sull’aspetto relativo alla visualizzazione dell’anatomia del cervello.L’uso della risonanza magnetica atomica (MRI), fornisce immagini ad elevatissima risoluzione della morfologia cerebrale, che è un aspetto di fondamentale importanza per poter ottenere diagnosi di malattie cerebrali, per pianificare interventi chirurgici e portare avanti ricerche nel campo neuroanatomico.
- Il neuroimaging funzionale si occupa invece di ottenere informazioni relative all’attività cerebrale. Questo tipo di tecnologia si avvale ad esempio di tecniche come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la tomografia a emissione di positroni (PET) e l’elettroencefalografia (EEG).Questi metodi danno la possibilità di osservare le modalità con cui il sistema nervoso centrale elabori le informazioni, risponde agli stimoli esterni e come riesca a intrattenere e costruire connessioni durante compiti cognitivi specifici.
Quali sono le principali tecniche di neuroimaging?
Le più rilevanti tecnologie di neuroimaging possono variare molto in base al tipo di applicazione oltre che per il tipo di dati che permettono di ottenere.
Facciamo alcuni esempi:
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- La risonanza magnetica anatomica, fornisce immagine dettagliate della struttura cerebrale, utili per la visualizzazione di anomalie strutturali e per mappare la morfologia del cervello.
- Risonanza Magnetica funzionale (fMRI): questa tecnica permette di misurare le variazioni dell’attività del sistema nervoso centrale, andando contemporaneamente a monitorare i cambiamenti nel flusso sanguigno.Questa metodica viene usata ampiamente nello studio delle funzioni cognitive e delle connessioni cerebrali.
- Tomografia a emissione di positroni, o PET: permette di osservare l’attività del cervello tramite l’assunzione e l’assorbimento di un radiofarmaco, utile per lo studio dei processi biochimici e metabolici.
- Elettroencefalografia (EEG): permette la registrazione elettrica del cervello con l’uso di elettrodi che vengono posizionati sul cuoio capelluto, permettendo lo studio dell’attività cerebrale in tempo reale.
- Tomografia ad emissione di fotoni singoli, o SPECT: è una metodica simile alla PET, che misura il flusso sanguigno cerebrale e viene usata per la diagnosi di disturbi neurologici e di ordine psichiatrico.
In quali campi di ricerca può essere usato il neuroimaging?
Il neuroimaging ha portato un cambiamento rivoluzionario nella nostra comprensione del cervello umano, permettendoci di identificare le regioni cerebrali che possono essere coinvolte in funzioni cognitive come l’attenzione, la memoria, le emozioni e il linguaggio.
L’applicazione del neuroimaging ai vari settori delle neuroscienze ha inoltre dato il via allo sviluppo di nuove tipologie di diagnosi e trattamento delle malattie cerebrali come l’Alzheimer e il Parkinson. Le sue applicazioni si estendono anche alla neuroriabilitazione, alla neuroetica e alla comprensione dei disturbi psichiatrici.
Quali sono le principali sfide nell’uso di questo strumento?
I notevoli progressi permessi dal neuroimaging sono sotto gli occhi di tutti; tuttavia, questa tecnologia presenta anche delle limitazioni e sfide.
I problemi principali provengono soprattutto dall’enorme complessità che si può trovare nell’interpretazione di un risultato, nel costo elevato delle attrezzature e nelle questioni etiche relative alla ricerca sul cervello umano.
Inoltre, le immagini cerebrali spesso forniscono solo una parte del quadro completo, rendendo necessaria l’integrazione di molteplici approcci scientifici per una comprensione completa del cervello.
Il Neuroimaging come strumento fondamentale per la comprensione dei meccanismi alla base della depressione e dell’ansia: lo studio
Grazie alle applicazioni del neuroimaging la psichiatria sta per fare notevoli passi avanti nell’ambito della medicina di precisione.
Un gruppo di ricerca della Stanford Medicine University, ha di recente chiarito come la combinazione di dati provenienti dall’imaging cerebrale e l’uso di programmi di apprendimento automatico possa permettere di identificare diversi sottotipi di depressione e ansia.
Questo studio innovativo, pubblicato su Nature Medicine, getta le basi per lo sviluppo di nuovi approcci utili alla classificazione della depressione.
Gli autori dello studio affermano che al momento sono necessari metodi migliori per abbinare i pazienti ai trattamenti; infatti, l’obiettivo di questo lavoro è stato, fin dall’inizio, quello di capire come effettuare subito la scelta della strategia terapeutica.
Attualmente, circa il 30% delle persone con depressione soffre di una forma resistente al trattamento, mentre per due terzi dei pazienti, il trattamento non riesce a ridurre i sintomi a livelli accettabili.
Questo è in parte dovuto alla mancanza di un metodo affidabile per determinare quale antidepressivo o terapia sarà efficace per un paziente specifico.
Il processo di prescrizione dei farmaci è spesso basato su tentativi ed errori, e trovare un trattamento efficace può richiedere mesi o addirittura anni. Questo approccio può aggravare ulteriormente i sintomi della depressione.
Com’è stato impostato lo studio?
Il gruppo ha reclutato 801 pazienti con diagnosi di ansia e depressione.
Per ciascuno di questi soggetti è stata usata la risonanza magnetica funzionale ai fini di misurarne l’attività cerebrale.
Le scansioni cerebrali sono state effettuate sia a riposo che durante l’esecuzione di compiti progettati per valutare le funzioni cognitive ed emotive.
I ricercatori hanno posto l’attenzione in particolare su regioni cerebrali specifiche.
L’apprendimento automatico, tramite l’analisi a cluster ha identificato sei modelli distinti di attività nelle regioni cerebrali studiate.
Implicazioni cliniche e prospettive future
In seguito, lo studio è continuato con un’analisi randomizzata su un sottogruppo di 250 pazienti, suddivisi a loro volta in due gruppi: a uno è stato somministrato un antidepressivo, l’altro è stato sottoposto a terapia comportamentale vertebrale.
I pazienti con sottotipo depressivo caratterizzato da iperattività nelle regioni cognitive del cervello rispondevano meglio all’antidepressivo venlafaxina.
Un altro sottotipo caratterizzato invece da elevati livelli di attività cerebrale a riposo tra tre regioni associate alla depressione e alla risoluzione dei problemi, ha mostrato miglioramenti significativi con la terapia comportamentale verbale.
Infine, i pazienti con un terzo sottotipo, caratterizzato da bassi livelli di attività a riposo nel circuito cerebrale che controlla l’attenzione, avevano minori probabilità di migliorare con la terapia verbale.
Questo studio per la prima volta riesce a dimostrare che la depressione può essere spiegata anche da delle disfunzioni in specifiche aree del cervello, che possono avere caratteristiche diverse da un soggetto all’altro.
La prova di quanto sia importante un approccio di medicina personalizzata anche nell’ambito della salute mentale.
Fonti
https://www.nature.com/articles/s41591-024-03057-9
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