Bagni di fieno: cosa sono, benefici e controindicazioni

Fare un bagno nell’erba è possibile? Sì, se ci si sottopone al trattamento dei “bagni di fieno” dove ci si immerge in una miscela di erbe di montagna. Le proprietà medicamentose delle piante, unite al calore che sprigionano grazie alla fermentazione possono essere utili per contrastare dolori articolari di vario genere.

Ecco, più in dettaglio, cosa sono i bagni di fieno, quali benefici apportano e a quali controindicazioni è bene fare attenzione.

Bagni di fieno, il trattamento per i dolori articolari

L’espressione tradizionale “bagni di fieno”, corrispondente al tedesco “Heybaeder”, si ricollega a una procedura legata al periodo e alle pratiche della fienagione. Si fa riferimento a un trattamento che consiste nell’immergersi in vasche di erbe di montagna in fermentazione, per sfruttarne il calore e i componenti. Dal momento che si utilizza erba fresca, o erba refrigerata, per evitare l’essiccazione, il termine più corretto è fitobalneoterapia. Il termine deriva dal greco e dal latino dove phyto significa “pianta”, balneo richiama l’immersione e la natazione e therapia vuol dire “cura”.
I bagni di fieno sono una pratica antica per alleviare i dolori articolari, e tradizionalmente effettuata in alcune zone del Trentino e dell’Alto Adige e dell’Austria. Come pratica popolare nei secoli ha poi iniziato ad affermarsi e a espandersi dalla seconda metà del XIX secolo.

Le principali indicazioni per la fitobalneoterapia riguardano:

  • osteoartrosi
  • patologie degenerative delle articolazioni
  • reumatismi extra-articolari
  • fibromialgia
  • periartrite scapolo-omerale
  • tendiniti
  • borsiti non infiammatorie
  • sindromi canalicolari come la sindrome del tunnel carpale
  • lombosciatica non in fase acuta.

Le erbe usate per la fitobalneoterapia

Secondo il metodo tradizionale, le erbe che si utilizzano per i bagni di fieno contengono una miscela composta da: betonica, arnica, iperico (o erba di San Giovanni), timo, carlina, pulsatilla, cinquefoglia, mirtillo, achillea, genziana. La raccolta avviene in prati situati tra i 1200 e i 1500 metri di altitudine dove non solo è garantita la particolare miscela floreale, ma si evitano la presenza di insetti come zecche e altri parassiti. Inoltre, le erbe si raccolgono in prati nei quali è vietato il pascolo, la concimazione con materiale organico e inorganico e il transito di mezzi.
Normalmente la raccolta avviene fra metà luglio e i primi dieci giorni di agosto. Invece, nei periodi al di fuori della stagione di raccolta l’erba è avvolta nel polietilene e compressa in rotoballe. In questo modo la si può conservare mantenendo inalterata la sua efficacia. Una volta raccolte, le erbe vengono poi poste in vasche spesse e preparate ogni 15 giorni circa. Sul fondo è posta della paglia per assorbire l’umidità prodotta dalla fermentazione e poi 50 cm di erba fresca. Lasciata a riposo e coperta, inizia a fermentare. Lo sviluppo del calore è dato dal metabolismo della flora microbica presente. Dopo 1-2 giorni, gli strati più profondi raggiungono temperature di 60°C o più e questa temperatura viene mantenuta durante l’intero trattamento.

Il trattamento, ecco in cosa consiste

Per il trattamento di fitobalneoterapia vero e proprio, il paziente svestito, viene immerso nell’erba calda e avvolto con uno strato spesso 10-20 cm. Solo il capo è lasciato libero. La temperatura è tra i 40° e i 70° C e i pazienti rimangono immersi nel bagno di fieno per circa 20 minuti. Dopo ogni bagno, il paziente si sdraia su un lettino di reazione, avvolto in una coperta di lana, per 30-45 minuti. Un ciclo completo di fitobalneoterapia dura tra gli otto e i dodici giorni con un giorno di intervallo a metà cura. Normalmente, quando si effettua questo trattamento c’è abbondante sudorazione, che diminuisce gradualmente nello spazio di 3-4 ore. Il paziente in questa fase deve necessariamente reintegrare i liquidi persi con l’assunzione di bevande e tisane.

Fitobalneoterapia: benefici e controindicazioni

Sembra che i componenti attivi all’interno delle erbe usate nella fitobalneoterapia abbiano un’azione analgesica e revulsiva. Però, come per altre terapie termali, il meccanismo d’azione dei bagni di fieno non è ancora completamente noto. È possibile che sia dovuto a una serie di effetti meccanici, fisici, chimici e fisico-chimici combinati. Tali meccanismi possono essere distinti in aspecifici, comuni ai bagni caldi in generale, e specifici, dipendenti dalla composizione delle particolari erbe utilizzate. Gli stimoli caldi possono migliorare il tono muscolare, ridurre l’intensità del dolore, contribuendo a ridurre lo spasmo muscolare. Sembra anche che questo tipo di trattamento possa aumentare l’elasticità dei tessuti ricchi di collagene e migliorare l’ampiezza di movimento delle articolazioni.

Tuttavia, è bene ricordare che i bagni di fieno possono dare anche controindicazioni. Di norma, in un ciclo completo, che dura circa una decina di giorni, si effettua un giorno di pausa a metà trattamento. Questa sospensione è necessaria a causa della possibile manifestazione, in alcuni pazienti, di una lieve “crisi termale“.

Di norma si manifesta dopo il terzo/quarto bagno con:

  • astenia
  • emicranie
  • insonnia
  • malessere
  • intensificazione dei dolori articolari.

Dal momento che il paziente è sottoposto a forte calore è sconsigliato a soggetti con problematiche di pressione, bambini e donne in gravidanza. In ogni caso, è bene chiedere un consulto medico per verificare il proprio stato di salute prima di effettuare il trattamento di fitobalneoterapia.

I bagni di fieno e la ricerca scientifica

Negli anni ci sono stati alcuni tentativi di studi che hanno cercato in modo scientifico di studiare se i benefici dei bagni di fieno fossero effettivamente autentici.
In un caso, erano stati coinvolti pazienti affetti da osteoartrosi che avevano eseguito la terapia dei bagni di fieno per 10 giorni. Secondo i dati raccolti, più del 70% avevano avuto miglioramenti di tipo immediato e circa l’80% a distanza di 6 mesi dal trattamento. In questo caso, i tassi di miglioramento sembravano superiori rispetto ai trial controllati sull’efficacia dei farmaci antinfiammatori non steroidei. Anche la persistenza del miglioramento sei mesi dopo il trattamento rispetto ai farmaci e ai trattamenti fisiokinesiterapici usuali è stata riportata nello studio.
Un’altra ricerca ha cercato di analizzare gli effetti dei bagni di fieno in confronto ai bagni caldi. I parametri tenuti in considerazioni sono stati: valori cardiovascolari, il benessere generale, la qualità del sonno e gli effetti avversi dei bagni. Non sono state trovate differenze significative tra i trattamenti, ma alcuni soggetti hanno lamentato effetti avversi (vertigini e mal di testa) dopo il bagno di fieno.

Continua l’uso tradizionale, ma serve più ricerca

Dal momento che la letteratura sul tema è scarsa, gli studi sono sporadici, distanti nel tempo e con gruppi di pazienti ristretti è difficile dare una valutazione scientifica. Tuttavia, sulla base dell’uso tradizionale e delle evidenze disponibili, la fitobalneoterapia potrebbe rappresentare un valido aiuto nel trattamento di alcune forme di patologie reumatiche. Potrebbe anche essere un’alternativa per quei pazienti che non tollerano i trattamenti farmacologici convenzionali.
La validità di tale trattamento dipende dalla diagnosi, dalla fase della patologia, una valutazione accurata dello stato di salute generale del paziente per escludere potenziali controindicazioni e una buona conoscenza del mezzo terapeutico utilizzato, comprese le sue indicazioni e i possibili effetti collaterali a esso legati.

Fonti:

  • Critical evaluation of phytothermotherapy (“hay baths”) in degenerative arthropathies
    Miori R., Contu C. et al.
    La Clinica Terapeutica, 01 Jan 1994, 144(1):31-42
    PMID: 8168350
  • PHYTOBALNEOTHERAPY (“HAY BATHS”) : BETWEEN TRADITION AND MODERN MEDICIN
    Petraglia A., Bellisai B., et al.
    Press Therm Climat 2009;146:283-290
  • Phytobalneotherapy with Flores graminis (hay bath) – an alternative with few side effects to “hot” bath.
    B. Brinkhaus, M. Lindner, et al.
    Perfusion, 2000, Vol. 13, No. 11, 476-485 ref. 49

 

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