Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Cell dai team di ricerca del “La Jolla Institute of Immunology” dell’Università della California di San Diego e dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova ha fatto luce sui livelli di protezione dei vaccini anti-COVID nei confronti delle varianti COVID-19, inclusa la variante Omicron.
I dati emersi nel corso della ricerca hanno evidenziato che i vaccini anti-COVID Comirnaty (Pfizer-BioNTech), SpikeVax (Moderna), Nuvaxovid (Novavax) e Janssen (Johnson&Johnson) assicurano una protezione di lunga durata contro il SARS-CoV-2, e contro determinate varianti la loro efficacia arriva fino al 90% a sei mesi dall’ultima dose.
Analizziamo più nel dettaglio i dati dello studio e contro quali varianti COVID-19 i vaccini sono più efficaci.
In questo articolo parliamo di:
Vaccini anti-COVID e protezione dalle varianti: i risultati dello studio
Lo studio si è focalizzato sui linfociti T, ovvero le cellule del sistema immunitario che sono in grado di riconoscere determinati antigeni a distanza di molto tempo dall’infezione o dalla vaccinazione contro una determinata patologia. Osservando l’attività dei linfociti T nei soggetti immunizzati mediante i vaccini anti-COVID a mRNA Comirnaty e SpikeVax, il vaccino a vettore virale Janssen o il vaccino proteico ricombinante Nuvaxovid, è stato possibile concludere che dopo sei mesi dall’ultima dose la protezione media contro la COVID-19 in forma grave può arrivare al 90%.
Ovviamente molto dipende dalla variante COVID-19 presa in esame. È infatti noto che ogni variante del coronavirus ha sviluppato una serie di mutazioni che possono andare a influire sulla capacità del sistema immunitario attivato con il vaccino di riconoscerla e bloccarla. Tuttavia i ricercatori che hanno condotto la ricerca hanno chiarito che, allo stato attuale, nessuna variante è effettivamente in grado di bucare la protezione dei vaccini.
“L’immunità indotta dalle cellule T è perciò duratura e significativa contro tutte le varianti note, e non viene bucata neppure da Omicron. quando una persona vaccinata viene a contatto con il virus, anche a mesi di distanza dalla vaccinazione, i linfociti T stimolano rapidamente i linfociti B a produrre anticorpi specifici. in questo modo si crea un doppio scudo al virus pressoché immediato, e l’infezione viene prontamente combattuta e debellata in tempi molto più rapidi e con un’efficacia maggiore rispetto a quanto possa accadere nei non vaccinati. Anche per questo i vaccinati, pur potendo ancora infettarsi, hanno generalmente forme lievi o addirittura asintomatiche dell’infezione. Visti i risultati dei test a 6 mesi dal vaccino, È plausibile che il vaccino possa frenare anche le future varianti perché è stato osservato che le cellule T di ogni individuo vaccinato sono allenate a riconoscere non un solo elemento della proteina spike ma in media una ventina di pezzetti diversi del virus”.
Questo è quanto ha riferito il Dr. Gilberto Filaci, Direttore dell’Unità di Bioterapie dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, nonché docente universitario di Scienze tecniche di medicina e di laboratorio presso l’Università di Genova.
Quali varianti sono più resistenti?
Sulla base di quanto riferito dai ricercatori che hanno preso parte allo studio, la protezione offerta dei vaccini anti-COVID Comirnaty, SpikeVax, Nuvaxovid e Janssen dopo sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale oscillava tra l’87% e il 90% per la seguenti varianti:
- Alfa;
- Beta;
- Gamma;
- Delta;
- Kappa;
- Lambda;
- B.1.1.519;
- R.1;
Le ultime due sono varianti scoperte rispettivamente in Messico e Giappone, non ancora incluse nel novero delle varianti d’interesse (VOI), né tanto meno tra le varianti di preoccupazione (VOC). La protezione di lungo periodo contro la variante Omicron risulterebbe più bassa e si stima essere compresa tra l’84% e l’85%, indipendentemente dal vaccino somministrato.
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