L’infiammazione cronica e il rischio di Alzheimer: i risultati di uno studio

Nel vecchio continente le malattie infiammatorie croniche colpiscono più di cinque milioni di persone. Queste patologie si caratterizzano per un’infiammazione persistente e una risposta immunitaria anomala contro il corpo stesso.

Esempi di patologie infiammatorie croniche più diffuse sono: l’artrite reumatoide, le malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e malattia di Crohn), la psoriasi e l’artrite psoriasica.

Queste patologie richiedono una gestione costante di sintomi dolorosi o debilitanti.
Le condizioni che abbiamo nominato hanno un impatto notevole sulla vita del paziente, compromettendo sia la qualità della vita e aumentando anche il rischio di malattie molto più gravi come i tumori o le condizioni cardiovascolari.

Negli ultimi anni l’interesse verso queste patologie è cresciuto notevolmente determinando progressi nell’ambito della ricerca che hanno permesso di raggiungere una migliore comprensione dei meccanismi dell‘infiammazione acuta e cronica. Dopo una panoramica generale sulle condizioni infiammatorie croniche vedremo i risultati di un nuovo studio.

Il processo infiammatorio nelle malattie infiammatorie croniche

L’infiammazione è un processo molto complesso che deve essere analizzato prendendo in esame tutte le sue caratteristiche adottando un approccio integrato e multidisciplinare.
In questo modo è possibile mettere in evidenza le connessioni tra le diverse malattie infiammatorie croniche.

L’infiammazione rappresenta un meccanismo di difesa innato e non specifico, che agisce come risposta protettiva dell’organismo contro un danno provocato da un agente esterno. Le cellule infiammatorie dell’immunità innata, come macrofagi e neutrofili, rilasciano citochine in risposta a stimoli infettivi o chimici.

Quando un’infiammazione acuta non entra nella sua fase risolutiva, si trasforma in infiammazione cronica: questa condizione è il risultato di un processo prolungato che comprende infiammazione attiva, distruzione dei tessuti e tentativi di riparazione.

Negli ultimi anni lo studio del microbiota è diventato un argomento di profondo interesse da parte della comunità scientifica.
Il microbiota è l’insieme di microrganismi che coesistono con noi.
Alcune alterazioni del microbiota intestinale sono in grado di innescare un’infiammazione che a partire dall’intestino può propagarsi anche ad altri distretti.

Quali sono i principali sintomi e complicazioni delle malattie infiammatorie croniche intestinali?

In Italia i pazienti che sono affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali sono almeno 250.000 con circa il 60% dei casi rappresentati da colite ulcerosa e il 40% da malattia di Crohn.

Queste condizioni sono sempre più tipiche nei paesi sviluppati e si presentano con un ventaglio di sintomi come diarrea, dolori addominali, vomito, astenia e febbre, alternando fasi di riacutizzazione a periodi di remissione.

In oltre il 40% dei casi, le malattie infiammatorie croniche intestinali si manifestano con sintomi extra intestinali immunomediati. Fino al 30% dei pazienti può sviluppare artrite, il 10% presenta manifestazioni cutanee immunomediate e il 5-6% può avere infiammazioni delle vie biliari o epatiche.

L’approccio chirurgico per la risoluzione degli stati infiammatori cronici

L’intervento chirurgico è da sempre considerato una soluzione possibile per trattare questo tipo di patologie infiammatorie croniche intestinali.
Oggi si ricorre a un approccio multidisciplinare che ha permesso di sviluppare tecniche chirurgiche meno invasive e adatte a essere integrate in ogni momento del percorso terapeutico, in base alle esigenze del paziente.

Un altro esempio di patologia infiammatoria cronica: l’artrite reumatoide

L’artrite reumatoide ha un impatto significativo sulla qualità della vita, provocando deformità e dolori articolari che possono limitare le attività quotidiane e lavorative. Tuttavia, le nuove terapie hanno cambiato drasticamente questo scenario.

I farmaci biologici e le piccole molecole sono in grado di arrestare l’infiammazione e la progressione della malattia, riducendo notevolmente la necessità di interventi chirurgici.
Questo ci fa capire quanto sia importante la ricerca per lo sviluppo di nuove terapie e per la comprensione più approfondita delle patologie.

Il ruolo del microbiota nella psoriasi

Le alterazioni del microbiota influenzano e i meccanismi infiammatori sono eventi molto intrecciati: questi due fenomeni sono alla base di malattie immunomediate della pelle.
Un esempio è la psoriasi che colpisce circa due milioni di persone nel nostro paese.

La psoriasi è una patologia sistemica che si caratterizza da una condizione infiammatoria cronica che va a coinvolgere altri organi e aumenta il rischio di eventi cardiovascolari acuti.

Le persone che sono colpite da questa malattia è necessario che vengano valutate da una squadra multidisciplinare per ottimizzare l‘infiammazione con terapie combinate.

L’infiammazione cronica e il rischio di Alzheimer: i risultati di uno studio

La presenza di condizioni infiammatorie croniche può aumentare il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.
Questo risultato emerge dai dati ottenuti sulla rivista Neurology: le evidenze affermano che le infiammazioni croniche durante la giovinezza, tra i 20 e i 30 anni, possono predisporre al declino cognitivo e a problemi di memoria in età adulta.

Il gruppo di ricerca che ha portato avanti questa scoperta ha usato i dati dello studio CARDIA (Coronary Artery Risk Development in Young Adults), che ha esaminato il rischio coronarico in 5.115 giovani adulti negli Stati Uniti.
Da questa coorte di soggetti, è stato estratto un gruppo composto da 2.364 partecipanti, di età compresa tra 24 e 58 anni.

La sotto-coorte ottenuta è stata divisa ulteriormente in tre gruppi, in base ai livelli di infiammazione cronica, che sono stati misurati con la proteina C reattiva (PCR) nel sangue: elevata, moderata e bassa infiammazione.

Quali sono stati i risultati della valutazione cognitiva?

I dati sono stati rielaborati cinque anni dopo la raccolta: in sede di analisi i partecipanti sono stati sottoposti a una serie di test neuropsicologici per valutare le loro capacità cognitive.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che livelli bassi di infiammazione erano associati a una riduzione della performance cognitiva del 10%.

Dall’altro lato, nei soggetti con infiammazione moderata la riduzione è stata del 19% e del 21% per quelli con alta infiammazione. Le facoltà maggiormente colpite sono risultate essere la velocità di elaborare i pensieri e la capacità di pianificazione.

Inoltre, alti livelli di proteina C-Reattiva, (il parametro più importante per la valutazione dello stato infiammatorio) sono stati associati a un aumento del 36% del rischio di prestazioni cognitive scarse nelle funzioni esecutive.

L’importanza estrema del monitoraggio precoce

Studi di questo genere sottolineano l’importanza di monitorare l’infiammazione cronica fin dalle prime fasi della vita come fattore di rischio per il declino cognitivo.

Anche se negli ultimi periodi la consapevolezza dei ruoli dell’infiammazione a livello neuronale e della neuro-degenerazione, i dati che correlano l’infiammazione periferica al decadimento cognitivo sono scarsi.

La ricerca ora dovrà focalizzarsi soprattutto sulle popolazioni giovani visto che in passato ci si è concentrati su anziani e persone già affette da demenza.

L’approccio dei ricercatori californiani, che monitorano l’infiammazione in età precoce, potrebbe essere integrato con la valutazione di altri marcatori immunitari in popolazioni selezionate.

I progressi nella misurazione della funzione immunitaria a basso costo e su larga scala potrebbero chiarire le relazioni tra infiammazione e declino cognitivo, trasformando ipotesi in certezze e migliorando così la prevenzione e il trattamento dell’Alzheimer.

Fonti

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