La mortalità dei pazienti COVID-19 che richiedono il supporto respiratorio extracorporeo (ECMO) è nettamente superiore rispetto a quella dei pazienti trattati per complicazioni polmonari riconducibili all’influenza stagionale.
Lo riporta uno studio italiano pubblicato sul portale online della scientifica Critical Care, che ha visto la partecipazione di oltre 300 pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva a causa delle complicazioni gravi dell’infezione da SARS-CoV-2 o da Influenzavirus A/H1N1. Analizziamo i risultati delle studio e le conclusioni del team di ricercatori che ha condotto la ricerca.
In questo articolo parliamo di:
Mortalità COVID-19: com’è stato condotto lo studio?
Lo studio, condotto dal professor Vito Fanelli, ha coinvolto 300 pazienti con polmonite insorta in seguito al contagio da coronavirus SARS-CoV-2 o Influenza A/H1N1. I dati facevano riferimento alle diagnosi eseguite tra il 2009 (anno della diffusione della c.d. influenza suina) e il 2021, secondo anno della pandemia di COVID-19. Entrambe le due tipologie di pazienti necessitavano di supporto respiratorio extracorporeo, e il fine dell’esperimento era fare verificare se esistesse o meno una differenza tra il rischio di decesso a 60 giorni dall’inizio della terapia per i pazienti che avevano sviluppato la malattia in forma severa.
In secondo luogo, i ricercatori hanno cercato di capire se il divario tra la mortalità della COVID-19 e dell’influenza stagionale dipendesse unicamente dal diverso danno polmonare causato dai patogeni o se esistessero altri elementi in grado di avere un maggiore impatto sul decorso della malattia.
I risultati dello studio
Dallo studio è emerso che il tasso di mortalità cumulativo stimato a 60 giorni dall’inizio della terapia per il supporto respiratorio extracorporeo era pari al 46%, contro il 27% riscontrato nei pazienti con influenza stagionale di tipo A.
Tuttavia, in seguito alla correzione per fattori confondenti, in particolare l’età e la durata della degenza ospedaliera prima dell’inizio della terapia di supporto extracorporeo, si è registrata una riduzione del divario; i pazienti COVID-19 deceduti erano più avanti con l’età, presentavano tempi di degenza in terapia intensiva più lunghi, ai quali si sommava una maggiore durata dell’ECMO e della ventilazione meccanica invasiva, con conseguenti complicanze emorragiche associate all’ECMO.
Mortalità COVID-19 e influenza stagionale: le conclusioni
Lo studio sembra aver confermato che il divario tra il tasso di mortalità della COVID-19 e quello dell’influenza stagionale potrebbe essere influenzato anche dall’età dei pazienti e dai tempi di degenza che quest’ultimi trascorrono nelle terapie intensive; la diversità eziologica non sarebbe pertanto l’unico elemento capace d’influire positivamente o negativamente sul decorso della malattia.
“L’importanza di questi risultati, relativi alla prima ondata della pandemia Covid-19, ha permesso ai medici di capire quale sia la tempistica più corretta nell’offrire la terapia di supporto extracorporeo Ecmo e quali siano i malati che possano più beneficiarne. Infatti il rischio di morte si riduce per pazienti di età inferiore ai 65-70 anni e con degenza in terapia intensiva prima dell’inizio dell’Ecmo inferiore a 7-10 giorni (…) La ricerca ha permesso di confermare non solo l’importanza di un team interdisciplinare di centri ad alta specializzazione, costituito da anestesisti rianimatori, cardiochirurghi, perfusionisti, infermieri e volontari del soccorso per garantire l’applicazione di una tecnica che si dimostra sempre più efficace nel trattamento dei quadri più severi di insufficienza respiratoria, ma anche, e soprattutto, l’importanza di una identificazione precoce dei pazienti, che potrebbero beneficiare di tale tecnica di supporto al fine di limitare i danni che il prolungato ricorso a tecniche di ventilazione meccanica artificiale possano indurre”.
È quanto riporta una nota del personale sanitario che ha portato avanti lo studio.
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