Ieri, martedì 23 novembre 2021, l’Italia ha autorizzato il primo suicidio assistito della storia del Paese. Lo storico “sì” è arrivato dal comitato etico dell’ASL delle Marche, in seguito all’approvazione del Tribunale di Ancona.
Il Tribunale di Ancona ha predisposto l’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n.242/2019 che indica le condizioni di non punibilità dell’aiuto al suicidio assistito.
La decisione senza precedenti ha di nuovo aperto il dibattito etico e politico. Immediata la diffida da parte del Vaticano, per il quale la materia delle decisioni di fine-vita costituisce un terreno delicato e controverso. La Pontificia Accademia per la Vita ha infatti ribadito la necessità di ricorrere alla logica delle cure palliative.
La svolta storica sul suicidio assistito in queste ore torna a infiammare l’opinione pubblica, soprattutto in merito al tema dell’accanimento terapeutico. Ma vediamo la questione più nel dettaglio.
In questo articolo parliamo di:
Il primo caso di suicidio assistito in Italia
Il caso specifico riguarda Mario (questo il nome di fantasia attribuitogli Ndr), un camionista 43enne, tetraplegico da undici anni a causa di un incidente stradale. L’uomo si era rivolto all’ASL marchigiana inoltrando la richiesta di suicidio assistito nel mese di agosto di un anno fa.
La richiesta era stata respinta e quindi Mario aveva presentato un’istanza al Tribunale di Ancona. Nel mese di marzo il Tribunale aveva dato ragione all’ASL, pur affermando che le condizioni del paziente erano in linea con i requisiti richiesti dalla Corte Costituzionale per autorizzare il trattamento. Arrivato a questo punto l’uomo non si è arreso e ha presentato un ulteriore reclamo. A giugno il Tribunale di Ancona ha inaspettatamente ribaltato la sentenza e ordinato che il comitato etico dell’azienda ospedaliera verificasse se le condizioni del paziente fossero idonee al trattamento.
Ieri la decisione presa dal comitato etico della ASL di Ancona ha fatto la storia. Il Comitato ha infatti stabilito che Mario rientra nelle condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale per l’accesso al suicidio assistito.
Dopo quattordici mesi dall’inizio della sua battaglia legale l’uomo ha finalmente ottenuto la sua giustizia. Restano ora da definire le modalità specifiche di attuazione del trattamento.
Suicidio assistito: di cosa si tratta
Il suicidio assistito è una pratica differente dall’eutanasia, nonostante i due termini siano spesso confusi nel linguaggio comune.
La definizione medica specifica di assisted suicide riporta:
“Atto di chi, in una situazione di sofferenza estrema e insopportabile, intenzionalmente pone termine alla propria vita con l’aiuto di un’altra persona che provvede a fornire i mezzi materiali o le indicazioni utili, o entrambi.”
Diversi studi e pubblicazioni mediche si propongono di analizzare le differenze tra physician assisted suicide e medically assisted dying. Negli USA l’assisted suicide è previsto per legge in diversi stati (Oregon, Vermont, Washington, Montana, Nuovo Messico), l’ultima a consentire l’accesso legale alla pratica è stata la California nel 2015.
Nella pratica del suicidio assistito il medico prescrive al paziente il farmaco letale, senza attuare tuttavia una somministrazione diretta. È quindi l’interessato stesso (sempre su richiesta libera e informata) a decidere quando morire, somministrandosi autonomamente il farmaco letale atto a cagionare la propria morte.
Suicidio assistito in Italia: quali sono i requisiti
Questo trattamento può avvenire solo nel caso in cui siano state appurate alcune condizioni irreversibili nello stato del paziente. Nello specifico la sentenza della Corte Costituzionale n.242/2019 ha individuato otto condizioni che non la rendono punibile.
Le prime quattro riguardano lo stato di salute del paziente:
- Patologia irreversibile
- Grave sofferenza fisica o psicologica
- Dipendenza da trattamenti di sostegno vitale
- Capacità di prendere decisioni libere e consapevoli
Le ultime invece si focalizzano invece sulla dimensione procedurale di chi assiste il paziente:
- Rispetto delle modalità previste sul consenso informato sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua
- Verifica delle condizioni richieste (ossia le quattro sopracitate)
- Verifica delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale
- Parere del comitato etico territorialmente competente
La verifica delle suddette condizioni deve essere affidata alle strutture mediche e ospedaliere del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territoriale di competenza. Prima di procedere alla somministrazione del farmaco letale deve essere inoltre appurato che la volontà dell’interessato sia stata manifestata in modo chiaro e univoco e che quest’ultimo sia stato adeguatamente informato anche riguardo la possibilità di eventuali cure palliative o soluzioni alternative.
Allo stato attuale l’unico Paese al mondo che permette il suicidio assistito anche a persone non residenti è la Svizzera.
Le differenze tra suicidio assistito ed eutanasia
L’eutanasia, a differenza del suicidio assistito, è l’atto di provocare intenzionalmente il decesso di un paziente, consapevole e informato, su sua libera richiesta. In questo caso il decesso è provocato da un medico o da un operatore sanitario, e non dal malato stesso. Il termine eutanasia deriva dall’unione delle parole greche “eu” e “thanatos”, letteralmente “buona morte”.
Alcuni paesi distinguono formalmente tra eutanasia attiva ed eutanasia passiva: nel primo caso il medico o un’altra persona incaricata procedono alla somministrazione del farmaco letale causando direttamente il decesso del paziente. Nel secondo, invece, si limitano a sospendere le cure o a spegnere le macchine che mantengono la persona in vita.
L’eutanasia propriamente detta, dunque intesa nella sua duplice accezione, è legale solo in alcuni paesi europei: Belgio, Olanda, Lussemburgo, Spagna e Nuova Zelanda.
In Italia manca ancora una legge in merito. Entrambe le modalità di eutanasia in Italia costituiscono reato e rientrano nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice Penale.
L’assenza di una legge sul suicidio assistito
Nel nostro Paese si riscontra un grave vuoto legislativo sull’argomento. Ad oggi ci sono due sentenze della Corte Costituzionale sul suicidio assistito, ma ancora nessuna legge.
Anche la proposta di legge sull’eutanasia giace da quattro anni in Parlamento. Purtroppo è ancora ritenuta un problema spinoso, e non vi è alcuna volontà politica di affrontare l’argomento nonostante siano state raccolte oltre 700mila firme nell’ultimo referendum.
In merito alla proposta di legge sul suicidio assistito, testo di attuazione della sentenza della Corte costituzionale del 2019, i relatori di recente hanno accolto la richiesta del centrodestra di prevedere l’obiezione di coscienza per il personale sanitario. Il relatore Alfredo Bazoli (Pd), e il presidente della Commissione Giustizia Mario Perantoni (M5s) hanno detto di sperare che il centrodestra ora superi l’ostruzionismo.
La strada è ancora lunga, pare. Ma il caso di Mario, la svolta storica rappresentata da questa prima sentenza e la mobilitazione pubblica che ne è conseguita, fanno ben sperare per il futuro.
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