La ricerca biomedica sta vivendo una vera e propria rivoluzione con lo sviluppo degli organoidi. Questi sono modelli tridimensionali in grado di mimare e riprodurre fedelmente la complessità strutturale e funzionale degli organi umani.
Una recente pubblicazione su “Cell Stem Cell” ha stabilito i parametri per una chiara e precisa definizione degli organoidi, insieme a un sistema di classificazione che facilita la comunicazione sull’argomento tra i vari ricercatori per migliorare la qualità finale e la riproducibilità degli studi.
Gli organoidi hanno già trovato ampio impiego nella ricerca sulle malattie e nello sviluppo di farmaci, ma fino ad oggi non esisteva una definizione formale condivisa a livello internazionale.
In questo articolo parliamo di:
- Quali sono le differenze tra Modelli 3D e Organoidi?
- Come viene definito un organoide?
- Com’è strutturata la prima classificazione degli organoidi?
- Due aspetti importanti: nomenclatura e precisione
- Organoidi nella ricerca oncologica: il caso dell’Istituto Regina Elena
- Organoidi e terapie personalizzate: che futuro ci aspetta?
- Fonti
Quali sono le differenze tra Modelli 3D e Organoidi?
Gli organoidi sono generati da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) o da cellule e tessuti adulti, inclusi quelli tumorali. Riproducono la struttura tridimensionale dell’organo di origine, differenziandosi così dai modelli 2D tradizionali.
Tuttavia, non tutti i modelli 3D sono organoidi: fino al recente consensus, molti modelli tridimensionali erano impropriamente etichettati come organoidi, pur non possedendo le caratteristiche fondamentali.
La nuova definizione chiarisce che solo i modelli 3D derivati da cellule primarie o iPSC possono essere considerati organoidi, escludendo quelli derivati da linee cellulari, che subiscono troppe manipolazioni in vitro.
Come viene definito un organoide?
Il lavoro di Hans Clevers nel 2009, che ha sviluppato il primo organoide da cellule staminali, ha aperto la strada a un decennio di ricerca intensiva sugli organoidi. Recentemente, sotto la guida di Bart Spee dell’Università di Utrecht, 65 esperti di 16 Paesi hanno raggiunto un consenso su una definizione formale.
Un organoide è composto da cellule primarie, che mantengono una complessità biologica paragonabile al tessuto originale, consentendo di modellare con precisione la fisiologia umana in vitro. La definizione esclude i modelli derivati da linee cellulari manipolate, che non rappresentano più la complessità dei tessuti originari.
Com’è strutturata la prima classificazione degli organoidi?
I ricercatori hanno anche proposto una classificazione degli organoidi basata su criteri specifici, quali la composizione cellulare, l’interazione tra le cellule e il tessuto d’origine. La nuova classificazione suddivide gli organoidi in tre categorie principali:
- Organoidi epiteliali: derivati da un solo strato embrionale, capaci di generare cloni omogenei.
- Organoidi multi-tessuto: formati da cellule provenienti da due o più foglietti embrionali, che riproducono la struttura dell’organo originario.
- Organoidi multi-organo: i più complessi, in grado di riprodurre l’interazione tra diversi organi.
Due aspetti importanti: nomenclatura e precisione
La nomenclatura degli organoidi richiede grande precisione, per evitare confusioni che potrebbero compromettere la ricerca. Ad esempio, è fondamentale specificare se un organoide di fegato proviene da epatociti o colangiociti, poiché queste cellule hanno funzioni diverse.
Nel caso di organoidi tumorali, la nomenclatura deve riflettere con esattezza la natura del tumore da cui l’organoide è derivato, facilitando così l’interpretazione dei risultati e la loro applicazione clinica.
Organoidi nella ricerca oncologica: il caso dell’Istituto Regina Elena
Gli organoidi hanno trovato applicazioni significative anche nella ricerca oncologica, come dimostrato dai recenti studi condotti dall’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Ire) di Roma.
Utilizzando organoidi derivati da tumori avanzati di pazienti, i ricercatori sono stati in grado di testare in vitro l’efficacia di diversi trattamenti farmacologici prima di somministrarli ai pazienti stessi. Questa tecnica ha permesso di personalizzare la terapia, selezionando il farmaco più efficace per ogni paziente.
In particolare, la piattaforma Opera Phenix Plus ha generato dati critici che hanno aiutato gli oncologi a individuare i trattamenti più promettenti per una paziente con tumore ovarico e un paziente con tumore gastrico, entrambi in fase avanzata.
Organoidi e terapie personalizzate: che futuro ci aspetta?
Il sistema basato su organoidi permette di ridurre l’utilizzo di trattamenti inefficaci, risparmiando tempo e risorse economiche, oltre a ridurre il rischio di effetti collaterali inutili. Gli organoidi creati dai tessuti dei pazienti possono essere conservati in bio-banche per future sperimentazioni, ampliando ulteriormente le potenzialità della medicina personalizzata.
Al sesto Workshop Ire dedicato all’Oncologia Traslazionale, esperti internazionali discuteranno come gli organoidi possano accelerare il passaggio dalla ricerca preclinica alla pratica clinica, promuovendo trattamenti personalizzati sempre più efficaci.
Con la nuova definizione e classificazione, il futuro degli organoidi appare ancora più promettente. Gli organoidi continueranno a rappresentare uno strumento chiave per la ricerca biomedica, con applicazioni che spaziano dalla medicina rigenerativa alla comprensione delle interazioni tra tumore e sistema immunitario.
Il sistema proposto, applicabile a una vasta gamma di tessuti, potrebbe inoltre essere esteso per definire nuove terminologie condivise in altri settori della scienza. La capacità degli organoidi di rappresentare la complessità del corpo umano in vitro li rende uno degli strumenti più potenti per il progresso della medicina moderna.
Fonti
https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2024/09/21/tumori-gli-organoidi-avatar-per-testare-lefficacia-dei-farmaci_4d3053eb-58fd-4524-ba78-a1f834eec2c4.html
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