Microplastiche nell’acqua potabile: come si eliminano (anche a casa tua)

Dall’ambiente, agli alimenti, dall’acqua fino agli organismi viventi compreso l’uomo, le microplastiche sono ormai ovunque. Delle dimensioni di qualche millimetro fino a 1 micron e di diversa composizione e forma, preoccupano gli esperti perché possono essere pericolose per la salute ambientale, animale oltre che umana. Però, si stanno applicando e sono in via di sviluppo diverse tecniche per rimuoverle. In particolare, una ricerca cinese ha indagato come eliminare le microplastiche presenti nell’acqua delle nostre case con risultati incoraggianti. Vediamo quindi cosa sono le microplastiche, perché sono pericolose per la salute e come si possono rimuovere dall’acqua potabile.

Cosa sono le microplastiche

A seconda delle dimensioni, i rifiuti plastici possono essere distinti in:

  • macroplastiche (> 25 mm)
  • mesoplastiche (< 25 mm)
  • microplastiche (< 5 mm)
  • nanoplastiche (< 1 μm).

Generalmente quando si parla di microplastiche si intendono anche le nanoplastiche, cioè tutto ciò che è compreso tra 1 μm e 5 mm.
Le microplastiche sono convenzionalmente definite come particelle polimeriche solide, resistenti alla biodegradazione.

Si presentano, poi, sotto diverse forme:

  • sferoidale
  • irregolare
  • film sottili
  • fibre sintetiche (ad esempio, nylon, fibre acriliche usate negli indumenti).

Le microplastiche non sono di un solo tipo, ma ci sono particelle costituite da: polimeri sintetici (come il polipropilene, il polietilene e il polivinilcloruro) o semisintetici (come il rayon e il cellophane). Anche i derivati del tyre wear, cioè le particelle costituite almeno per il 40% da gomme sintetiche e naturali prodotte dalla degradazione degli pneumatici sul manto stradale, si includono in questa lista.

Microplastiche primarie e secondarie: quali sono

Si definiscono microplastiche primarie quelle prodotte intenzionalmente nel range dimensionale sopradescritto e funzionale alla loro destinazione d’uso. Rientrano in questo gruppo le microbeads, di forma sferoidale, utilizzate fino a poco tempo fa nei prodotti cosmetici ad azione esfoliante o detergente. Sono state bandite in Italia a partire dal 1° gennaio 2020.
Le microplastiche secondarie, invece, le più numerose, rappresentano il prodotto della frammentazione a opera di microrganismi o di agenti chimico-fisici, di oggetti in plastica più grandi, come quelli dispersi in mare. Questa categorizzazione delle microplastiche ha evidenziato tra gli esperti la necessità di trovare metodi analitici affidabili per ogni tipologia di plastica effettivamente rilevata. La difficoltà sta nel vasto range dimensionale non necessariamente condiviso unilateralmente da tutta la comunità scientifica, che rende il comportamento chimico-fisico delle particelle più grandi molto diverso da quello delle particelle più piccole.
Per contenere la contaminazione, l’Unione Europea (UE) ha emanato la Direttiva (UE) 2019/904 (Direttiva SUP) recepita, in Italia, con il DLvo n. 205 dell’8 novembre 2021 , in cui si bandisce la plastica monouso (ad esempio, cotton fioc, contenitori per alimenti o piatti in plastica).

Effetti delle microplastiche nell’acqua potabile sulla salute

L’attenzione maggiore è diretta soprattutto verso le micro e nanoplastiche e al loro impatto sulla salute globale, non solo per l’ambiente, ma anche animali e esseri umani. Le loro dimensioni ridotte facilitano la contaminazione di alimenti e acque venendo in contatto con gli organismi viventi attraverso il contatto diretto.
Come riporta un approfondimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riguardo le acque potabili, i polimeri plastici sono generalmente considerati di bassa tossicità. Questo perché, essendo insolubili, è improbabile che vengano assorbiti dal tratto gastrointestinale. Però la dimensione e il materiale delle particelle può influenzare l’assorbimento e la tossicità delle sostanze chimiche dall’ambiente. Inoltre, le plastiche possono contenere additivi e monomeri liberi, che possono fuoriuscire nell’ambiente acquatico circostante prima del consumo umano o, potenzialmente, nel tratto gastrointestinale per diventare biodisponibili in determinate circostanze.
Se al momento l’OMS non reputa che ci siano ancora prove sufficienti per dimostrare che l’ingestione di microplastiche sia correlata a un problema per la nostra salute, sottolinea come siano necessari ulteriori studi.

Tecniche per rimuovere le microplastiche nell’acqua

Al giorno d’oggi, diverse tecnologie per la rimozione delle microplastiche sono già state sviluppate, anche se alcune si trovano ancora in fase di sperimentazione o sono applicazioni su piccola scala. In generale, gli approcci si dividono in tre macro-categorie:

  1. fisici
  2. chimici
  3. biologici.

Come fanno presente gli esperti, la tecnologia di filtrazione è efficiente, ma variabile, con un costo relativamente elevato a causa dell’intasamento delle membrane filtranti e della necessità di sostituirle.

Per quanto riguarda l’adsorbimento e la separazione magnetica è un metodo semplice di rimozione. Tuttavia, gli assorbenti aggiuntivi possono causare un inquinamento secondario. Un problema simile si può presentare in altre tecniche che presentano residui chimici nel trattamento di coagulazione e ossidazione.

Invece, la biodegradazione e i bioreattori hanno spesso una bassa efficienza di degradazione.

Infine, ci sono diverse proposte di strategie green per la riduzione delle plastiche, tra cui tecnologie di rimozione a inquinamento zero, approcci integrati ecocompatibili, riutilizzo delle plastiche convenzionali e sviluppo futuro di plastiche biodegradabili.

Eliminare le microplastiche nell’acqua con la bollitura

Recentemente, un team di scienziati dell’Università di Guangzhou e dell’Università di Jinan in Cina ha condotto una ricerca per valutare un possibile metodo rimozione delle microplastiche presenti nell’acqua. Il test, fatto sia su acqua dolce che su acqua di rubinetto dura (più ricca di minerali), prevede la bollitura con seguente filtrazione. Per la ricerca hanno aggiunto all’acqua nanoplastiche e microplastiche prima di farla bollire per poi filtrare i precipitati. In alcuni casi, fino al 90 percento delle nano e microplastiche sono state rimosse mediante il processo di bollitura e filtrazione, anche se l’efficacia variava a seconda del tipo di acqua. Il vantaggio che questo studio riporta è che la maggior parte delle persone potrebbe filtrare l’acqua utilizzando ciò che ha già in cucina. Tuttavia, oltre alla necessità di ulteriori ricerche, non in tutte le culture è abitudine bere acqua calda e questo potrebbe disincentivare ad operare in questo senso.

I test sull’acqua dura hanno dato i risultati migliori

Come riporta la ricerca, la maggiore concentrazione di nano e microplastiche è stata rimossa dai campioni di acqua dura del rubinetto, che naturalmente forma un accumulo di calcare (o carbonato di calcio) quando viene riscaldata. È una sostanza biancastra, visibile all’interno dei bollitori da cucina, che si forma sulla superficie della plastica dovuta ai cambiamenti di temperatura che permettono al carbonato di calcio di intrappolare efficacemente i frammenti di plastica in una crosta.
Anche nei test sull’acqua dolce, dove si dissolve meno carbonato di calcio, circa un quarto delle nano e microplastiche è stato rimosso dall’acqua. Qualsiasi frammento di plastica incrostato di calcare potrebbe poi essere rimosso tramite un semplice filtro. Come la rete in acciaio inossidabile usata per filtrare il tè, spiegano i ricercatori.

Alla ricerca di altre tecniche più green per eliminare le microplastiche

Ci sono studi che si sono occupati di analizzare principalmente l’applicabilità delle tecnologie di rimozione delle microplastiche, la loro efficienza e i fattori che le influenzano. I risultati hanno rilevato delle criticità riguardo la sostenibilità, l’elevato consumo di energia, le diverse efficienze di rimozione e il potenziale rilascio di inquinanti secondari dovuto agli additivi chimici nei trattamenti.

Alcune ricerche si stanno concentrando su delle alternative pù ecocompatibili. Ad esempio, ora nel processo di rimozione delle microplastiche è necessario aggiungere diversi composti chimici. E questo comporta una potenziale tossicità per gli organismi acquatici e rischi ambientali nel lungo periodo. Per questo si stanno valutando materiali e reagenti ecologici come l’amido o biochar, oppure basati su principi biologici.
Dipendendo dall’azione di cattura di particolari sostanze chimiche o materiali, le microplastiche vengono separate dall’acqua, riducendo così la loro concentrazione a un intervallo accettabile. Tuttavia, spesso, le microplastiche separate necessitano ancora di un ulteriore trattamento per evitare di essere nuovamente rilasciate nell’ambiente. Ad esempio, i fanghi contenenti microplastiche provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue potrebbero essere utilizzati come fertilizzanti nei terreni agricoli contamindando il suolo. Al contrario, le tecnologie biologiche, tra cui la fotocatalisi e i trattamenti di biodegradazione, potrebbero convertire le microplastiche in sostanze semplici e addirittura innocue.

Un buona strategia, continuano gli esperti, potrebbe essere quella di integrare e sviluppare diverse tecnologie per migliorare l’efficienza di rimozione e ridurre i costi. Ad esempio, la fotocatalisi basata su micro/nanomateriali in tandem con la biodegradazione basata su batteri sembrerebbe un metodo promettente.

Fonti:
Istituto Superiore di Sanità – Microplastiche nell’acqua
Organizzazione Mondiale della Sanità – Microplastics in drinking water

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