Variante KP.3: nuova impennata di casi di Covid-19. Cosa sappiamo finora?

La prospettiva di un’estate serena e senza preoccupazioni sembra essere sconvolta dall’arrivo della variante KP.3 del Sars-Cov-2, responsabile dell’aumento dei contagi sia nelle città che nei luoghi di villeggiatura.
In questo momento non ha ancora superato la variante JN.1 ma presto raggiungerà questo obiettivo, almeno stando ai dati relativi alla sua diffusione.

La variante KP.2, che è arrivata in Italia a fine maggio, ricordava la Delta per la sua resistenza, tanto da far preoccupare le autorità; tuttavia, le pagine dei giornali sono state subito occupate da un altro protagonista che è la variante KP.3.
Il centro di diffusione principale di questa variante sono gli Stati Uniti, dove rappresenta già il 25% dei casi, superando KP.2 che si attesta al 22,5%.
Entrambe queste varianti discendono da JN.1, il ceppo previsto per i prossimi vaccini.

Livelli di contagio in Italia: qual è la situazione?

La tendenza attuale che si registra in Italia è quello di un aumento costante dei casi. Tra il 20 e il 26 giugno 2.504 casi e 437 test positivi al 26 giugno.
I sintomi di questa nuova variante sono spesso lievi ma cresce il numero di persone costrette a casa.
Le manifestazioni possono essere riassunti in questo quadro sintomatico:

  • Naso chiuso;
  • Rinorrea;
  • Starnuti;
  • Affaticamento;
  • Mal di testa;
  • Dolori muscolari;
  • Riduzione dell’appetito;
  • Nei bambini la variante BB.1.16 può provocare congiuntivite

Quali sono i sintomi più gravi? Come possono essere riconosciuti?

La gravità e l’intensità dei sintomi dipende da molti fattori, tra i quali compaiono in primo luogo la vaccinazione, l’età e lo stato di salute generale. In alcuni casi, i sintomi possono diventare gravi, come la mancanza di fiato e l’aumento della frequenza respiratoria.

Per sintomi lievi, si raccomanda di restare a casa, indossare mascherine chirurgiche o FFP2, evitare contatti con persone fragili, lavarsi frequentemente le mani e informare i contatti recenti. Se i sintomi persistono o peggiorano, è consigliabile contattare il medico.

Dagli USA arriva l’invito a vaccinarsi contro il Covid con i vaccini aggiornati per il 2024-2025, disponibili da Moderna, Novavax e Pfizer entro la fine dell’anno. Questi vaccini saranno mirati contro la variante JN.1 e dovrebbero essere efficaci anche contro le varianti discendenti. Si consiglia di vaccinarsi tra settembre e ottobre, anche contemporaneamente al vaccino antinfluenzale.

In Italia sono disponibili due vaccini aggiornati alla variante JN.1: uno a mRNA (Comirnaty Omicorn XBB 1.5) e uno proteico (Nuvaxovid XBB 1.5). Gratuiti e non obbligatori, sono raccomandati per i fragili e over 60, operatori sanitari, e conviventi di persone con gravi fragilità.

Come si forma una nuova variante di un virus?

Un virus entra nella cellula grazie ad alcune proteine presenti sul suo involucro esterno: nel caso del SARS-CoV-2 principalmente la proteina Spike.
Questa proteina serve come chiave di ingresso per aprire “la porta” della superficie cellulare, rappresentata da recettori molecolari.

Quando penetra dentro la cellula il virus rilascia il suo materiale genetico, o genoma, costituito da DNA o RNA, che contiene tutte le informazioni necessarie per moltiplicarsi nella cellula infettata.

Il DNA on RNA virale è usato dai macchinari molecolari della cellula per sintetizzare nuove copie del virus, che non solo infettano altre cellule dello stesso individuo, ma si trasmettono anche ad altre persone.

La cellula infettata è obbligata a leggere e decodificare l’informazione contenuta nel genoma virale, producendo copie di RNA virale e tutte le proteine necessarie a formare i virus “figli”, comprese quelle dell’involucro esterno che serviranno per riconoscere i recettori ed entrare in nuove cellule.

Quando la replicazione del virus è in atto, soprattutto nei virus dell’influenza, possono verificarsi errori casuali, che sono delle mutazioni, che vanno a produrre copie di RNA con alcune differenze rispetto all’originale.
Le mutazioni nel genoma virale portano a variazioni nella struttura e/o nella funzione delle proteine che compongono il virus, specialmente quelle dell’involucro esterno.

La replicazione virale è soggetta a errori per natura, quindi la comparsa di varianti con mutazioni rispetto al virus originario è prevedibile ma non per forza fonte di preoccupazioni.
La maggior parte di questi cambiamenti non causa differenze sostanziali nella struttura e nelle caratteristiche del virus e non influisce sulla sua capacità diffusiva.

Come riesce una nuova variante a sfuggire all’immunità?

Alcune mutazioni, o delle combinazioni di queste possono dare al nuovo virus vantaggi come una maggiore capacità di diffondersi e propagare l’infezione.
Questo riguarda soprattutto le mutazioni che determinano dei cambiamenti molecolari che interessano le proteine dell’involucro esterno, nel caso di SARS-CoV-2 la proteina Spike.

Oltre a riconoscere i recettori sulle cellule da infettare, queste proteine sono le prime viste dal sistema immunitario dell’ospite, che scatena una forte risposta immunitaria, inclusa la produzione di anticorpi.
Il cambiamento a livello di queste proteine, come può avvenire in una variante pericolosa può conferire al virus la capacità di infettare soggetti con più efficienza.

Questo serve al virus in un’ottica di adattamento all’ambiente. In questi casi, le varianti diventano motivo di preoccupazione e devono essere monitorate, soprattutto se influenzano gli aspetti clinici, come una maggiore gravità dell’infezione.

Le proteine che sono presenti sull’involucro e che lo caratterizzano da un punto di vista molecolare sono quelle molecole contro le quali il sistema immunitario scatena una forte risposta, producendo anticorpi che riconoscono e neutralizzano il virus al momento dell’ingresso nell’organismo.

L’obiettivo del vaccino è simulare un’infezione naturale, scatenando la produzione di anticorpi e altre risposte per neutralizzare il virus subito o prima che infetti molte cellule.

Ad esempio, con i vaccini anti-COVID-19 attuali, si introduce nel corpo umano la proteina Spike “preformata” o le istruzioni (come l’RNA messaggero) per farla produrre dalle cellule umane. Tuttavia, i vaccini basati sulla proteina del virus originario potrebbero non riconoscere le nuove varianti del SARS-CoV-2.

Diversi studi sono in corso per capire se i vaccini in uso sono efficaci contro le varianti. Quali sono le prime evidenze?

I primi studi indicano che un ciclo completo di vaccinazione (prima e seconda dose) con i quattro vaccini approvati conferisce protezione contro le principali varianti circolanti.

Non ci sono ancora evidenze sufficienti che i farmaci antivirali in uso o in sperimentazione per COVID-19 siano sempre efficaci contro le varianti.

Un esempio di virus a RNA che riesce in maniera impeccabile a variare rapidamente durante la diffusione nell’uomo e riuscire anche ad acquisire resistenza ai vaccini è l’influenza.

L’evoluzione rapida di questi virus che porta a una modifica delle proteine esterne, può determinare un fenomeno di “fuga” dall’immunità indotta dai vaccini o da infezioni precedenti.

Questo è il motivo per cui il vaccino dell’influenza deve essere aggiornato ogni anno, sulla base delle nuove varianti di influenza circolanti in quel periodo.

Altri virus, come l’HIV-1 responsabile dell’AIDS, mutano così rapidamente che finora non è stato possibile sviluppare un vaccino efficace.

Fonti

https://www.doctor33.it/articolo/61231/covid-19-nuova-variante-kp3-in-crescita-negli-usa-si-riapre-il-dibattito-sul-vaccino

https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/v/varianti-virali#varianti-e-resistenza-ai-vaccini

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